domenica 31 marzo 2013

Sutor ne ultra crepitam ... Napolitano, Ingrao, Varese Antoni, Muro di Berlino, Botteeghe Oscure uno nessuno centomila

Dalla malinconica Roma alla solare Lecce il viaggio è lungo e all'una e qualcosa di sabato trenta marzo siamo tra i minacciosi monti dell'Irpinia ed è arduo captare un buon giornale radio che ci riempia di saggezza politica ascoltando il signor presidente della Repubblica.
Chi mi conosce e mi sopporta, sa bene ch sono ipotatticamente circolare nel mio scrivere, ma codesto signor presidente mi sopravanza quanto a lungaggini inespressive. Ma dove vuole arrivare mi chiedo e mi ripeto. Buio all'orizzonte. Di solito nella mia circolarità faccio scoccare una velocissima saetta che arriva di un balzo al dunque. Napolitano finisce di parlare e resto in sospeso. Ah! Finalmente capisco. Non si dimette. Che peccato!
Accusa? Si rammarica? Ammonisce? Col suo stile desueto è tutto immerso nel millennio scorso. Al nuovo millennio non può dire più nulla. E' rimasto in mezzo al guato nel secolo scorso. Certo quasi tutti lo plaudono e lui ci crede. Lo corbellano e lui finge di non accorgersene. Io sono nessuno per dargli il minimo fastidio. Quel marpione di Berlusconi all'improvviso gli si è associato; spera così di potere avere una residua voce nelle stanze del potere e costringere le prosciugatissime banche a consentirgli di superare il gap tra la scadenza del suo immane indebitamento aziendale e l'assorbimento da parte dei capitali finanziari vaganti che in Italia battezzano insipientemente come "denaro sporco" e oltre tevere si ha un IOR sconcertato per questa imprevista orgia del poverello argentino.
Mi ricordo un Napolitano alle prese con la tegola della caduta del muro di Berlino. Il PCI aveva intestato ai Paesi satelliti un mare di immobili. Questi liberatisi da Mosca e passati di un colpo al capitalismo più ringhioso possibile, credettero davvero che quei succulenti patrimoni immobiliari fossero loro. Napolitano ministro delle finanze di via delle botteghe oscure era un pesce fuor d'acqua. L'on. Varese Antoni parlò con me per qualche consiglio risolutore. Ora Napolitano costituisce una doppia commissione di estranei (la centralità del parlamento gli avrebbe gridato contro Ingrao, un po' meno vecchio). Mi sa un po' di golpe. Ma Napolitano davvero capirebbe qualcosa sulle traversie dello spread italiano? Penso di no, son sicuro di no. Si gridò a Della Valle: SUTOR, NE ULTRA CREPIDAM. Appunto!

venerdì 29 marzo 2013

Di ignominia in ignominia


Per nostra residua fortuna, i geroglifici di questa epigrafe non si leggono (almeno agevolmente). Sono il maggior dileggio che l’ingrato SCIASCIA (sì Leonardo lo scrittore) ebbe a dispensare al suo paese che è soprattutto ll nostro. Vi è una sorta di masochismo in certa intellighenzia racalmutese. Si finge di non capire e si contrabbanda come elogio l’infamia. Ne son nati di guai per questo paese che si chiama Racalmuto, punto e basta. Da ignominia in ignominia siamo arrivati ad un immeritato infamante “commisariamento”. Già – dice Sciascia, siamo lontani dalla ragione e dalla legalità – tutti ma proprio tutti noi racalmutesi. Ma io non mi sento né pazzo né malfattore. Non ho mai neppure detto che un  sedicente marchese di Finale e di Savona si fosse peritato da SCAVEZZACOLLO di venire ad usurpare la signoria prima, il baronato dopo e infine la contea di Racalmuto. Ho detto di più e di peggio e quindi ho stigmatizzato coloro che ci hanno preso tutti per babbei per poter disperdere i pochi fondi delle nostre disastrate casse comunali in festeggiamenti per un gemellaggio storicamente risibile e per finanziare pubblicazioni di generi ed amici di Sciascia tendenti ad accreditare l’imbroglio storico.

Ma la residua intellighenzia di quei tempi plaude al falso scavezzacollo ed ora accredita l’infame epigrafe in simoniaca pubblicità. Ma noi Racalmutesi non siamo in grado di reagire, mettere i puntini sulle i e soprattutto non possiamo sabotare pubblicitarie iniziative commerciali a solo nostro danno e scorno?

IL VERO MUTUO SOCCORSO - VENT'ANNI DOPO


Alla Festa di la B.M. di lu MUNTI pronunciammo il 5 luglio del 1993 - l'anno prossimo fa vent'anni e reiteriamo ora la richiesta per una rievocazione, sperando che il volpino ufficio comunale sta volta non si opponga - questa "dotta" prolusione a lu Chianu Castieddu in gloria del Mutuo Soccorso. Pierino Carbone, solerte come

 

sempre, aveva fatto venire un glorioso cantastorie di cui noi manco il cognome ricordiamo (a maggior disdoro nostro).

Omaggiavamo Carminu Gueli, presidente, e torniamo a farlo ancora qui. Grande e loquace Carminu!. Riddiliu per Alfonso Scimé lui e riddiliu ora io, per volere del baffuto Sardo.

Avevamo dato carte pregevoli: smentivano un burbanzosetto demente di culo che la faceva da despota. Lo invitavamo a espungere i muri d'ingresso del Mutuo da funeree, fallaci, lapidee incisioni. Vinse Lui e noi - il dottor Calogero Taverna e il defenestrato Carmelo Gueli - fummo esiliati. Quelle lapidee sconcezze stanno ancora là, riprotamente immarciscibili.

giovedì 28 marzo 2013

Catullo sulla tomba del fratello di Sciascia


Catullo

Emanuele Narducci

«L’esperienza di un giovane fratello caduto in guerra può distruggere la nostra vita. Si ricordino i versi disperati di Catullo», dichiarava Gadda, con ovvio riferimento autobiografico, in una intervista del ’63 a proposito della Cognizione (Gadda 1983b: 87). E già in una recensione del ’45 alle traduzioni catulliane di Quasimodo, appar       se nel medesimo anno, l’accento batteva sulla profonda consonanza emotiva con i versi più dolenti del liber (SGF I 899 sgg.):

In una accettazione del dissolvimento Catullo raggiunge, anche nel riso, l’estrema amarezza. I versi dolorosi con cui rievoca il fratello perduto (carme 68; 68a) testimoniano circa lo spegnersi d’ogni fede in una possibile sopravvivenza sua propria:

Tecum una totast nostra sepulta domus [Tutta la nostra casa è sepolta insieme con te].

E il carme 101 e il più tragico de’ suoi versi:

Et mutam nequiquam adloquerer cinerem [Per parlare invano con la tua muta cenere],

riecheggiato in modo meraviglioso dal Foscolo: «parla di me col tuo cenere muto».

Si tratta di uno dei rarissimi omaggi di Gadda all’arte poetica di Foscolo, i cui versi sono assai più spesso bersaglio di ironie dissacranti (così, ad esempio, nel dialogo Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia irride beffardamente al riuso, nell’Ode a Luigia Pallavicini, di una delle espressioni di apertura del carme 3 di Catullo, Veneres Cupidinesque – SGF II 413; Narducci 2003: 95). Può darsi, allora, che l’omaggio vada inteso in funzione polemica nei confronti della resa quasimodiana del medesimo verso di Catullo («e a dire vane parole alla tua cenere muta»), che Gadda avrà sentito scialba e priva di musicalità. In realtà tutta la recensione è, a dir poco, algida nei confronti delle traduzioni di Quasimodo; in maniera più esplicita lo scrittore si sarebbe espresso in una lettera dell’ottobre ’59 al cugino Piero Gadda Conti, manifestando la propria irritazione per il conferimento del Nobel al poeta siciliano: «Di Salvatore ho ricevuto, nel 1946, la sua traduzione da Catullo: uno spasso!» (SGF I 1350).

Nella recensione, Gadda contrappone continuamente il suo Catullo a quello che emerge dai rifacimenti quasimodiani: perciò tutto lo scritto si rivela assai utile per comprendere la maniera in cui Gadda si accosta al poeta veronese. L’obiezione principale rivolta a Quasimodo è di avere privilegiato, sia nella selezione dei carmi da tradurre, sia nelle scelte lessicali, gli elementi alessandrini della poesia di Catullo: quelli che rivelano «un Catullo orafo, un Catullo benedettino», verso il quale il gusto di Quasimodo mostra la maggiore congenialità. Sono in larga parte esclusi dalla traduzione, invece, i carmi brevi (quelli che Gadda definisce italiani), che lasciano emergere «l’impeto, il dolore, la impotente rivendicazione, la tristezza puerile, la oscenità gloriosa, lo scherno»; le scelte di Quasimodo hanno spostato «il centro barico della poesia catulliana: addomesticando il nembo a uno zefiro».

La lettura di Catullo delineata da Gadda si inserisce in maniera abbastanza agevole nel quadro complessivo delle interpretazioni di questo poeta predominanti fino alla metà del Novecento, e sostanzialmente condizionate da un gusto di ascendenza romantica, nelle sue diverse varianti. Gadda insiste a più riprese sulla componente fanciullesca della personalità poetica di Catullo, laddove parla, per es., di «libertà làlica […] del bambino», di «tristezza puerile», della «sua natura di fanciullo delicato e impertinente»; o descrive il rapporto dell’ingenuo poeta con l’aggressività violenta del mondo circostante nei termini del «dolce sorriso d’un bimbo che si ridesta, inconscio, alla presenza d’una pantera».

Neppure mancava, nel discorso critico circolante all’epoca in cui Gadda scriveva, l’idea di un Catullo dalla psicologia tormentata ai limiti del patologico – anche se Gadda calca un po’ le tinte parlando di «nevrosi», di «atteggiamenti potenzialmente ebefrenici (arresto, o retrogressione, a puerizia) o ipotimici (depressivi)», di «una psicopatia che oscilla tra lo spirito amoroso […] e un senso disperato di abbandono» (SGF I 899).

Gadda arricchisce questi spunti critici tutto sommato convenzionali con gli scintillii della sua prosa artistica; maggiori elementi di originalità interpretativa vi sono forse nell’apprezzamento esplicito della componente oscena della poesia di Catullo, da altri interpreti, all’epoca, per lo più tenuta fuori campo, o addirittura più o meno apertamente biasimata. L’attenzione si spiega bene con la personale predilezione di Gadda per una scrittura capace di spaziare, senza censure di sorta, tra tutti i diversi livelli del lessico e dello stile; ed è perfettamente coerente con il fastidio verso il decoro e il perbenismo linguistico che Gadda, ancora negli anni del fascismo, aveva già espresso a proposito del vocabolario latino in corso di elaborazione presso l’Istituto di Studi Romani: un testo nel quale era presente l’invito a non operare esclusioni nei confronti del lessico di autori come Plauto, Catullo, Petronio, Marziale o Giovenale (SGF I 870; Narducci 2003: 38).

Se lo abbiamo visto profondamente commosso dai versi catulliani sulla morte del fratello, dal liber del poeta latino Gadda sembra tuttavia avere attinto soprattutto spunti satirici (in questo senso operano anche le riprese da Catullo nel Primo libro delle Favole; Narducci 2003: 93). Così nel passo con cui si apre uno dei racconti dell’Adalgisa (Strane dicerie contristano i Bertoloni), poi ripreso nella Cognizione (RR I 381; RR I 584):

Di ville, di ville!; di villette otto locali doppi servissi […] esposte mezzogiorno, o ponente, o levante, o levante-mezzogiorno, o mezzogiorno-ponente, protette d’olmi o d’antique ombre dei faggi avverso il tramontano e il pampero, ma non dai monsoni delle ipoteche, che spirano a tutt’andare anche sull’anfiteatro morenico del Serruchon e lungo le pioppaie del Prado; di ville! di villule! di villoni ripieni di villette isolate […] gli architetti pastrufaziani avevano ingioiellato, poco a poco, un po’ tutti, i vaghissimi e placidi colli delle pendici preandine, che, manco a dirlo, «digradano dolcemente»: alle miti bacinelle dei loro laghi.

La nota di Gadda rimanda esplicitamente al modello catulliano (RR I 404; Flores 1964: 390):

Catullo, carmina, XXVI: «villula nostra non ad Austri flatus oppositast neque ad Favoni ecc.… verum ad milia quindecim et ducentos»: (di ipoteche). «O ventum horribilem et pestilentem!» [La mia villetta non è opposta ai soffi dell’Austro né del Favonio… bensì a quindicimila e duecento sesterzi. Proprio un vento terribile, e malsano!].

Un componimento catulliano del quale Gadda si è ricordato più volte è il carme 29, un’invettiva violentissima contro il corrotto e avidissimo Mamurra e i suoi protettori, Cesare e Pompeo. Nella Appendice alla Cognizione l’autore, difendendosi dall’accusa di barocchismo rivolta alla sua scrittura, si impegna a ribaltarla nel «più ragionevole e più pacato asserto “barocco è il mondo, e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine”» (RR I 760). Tra gli esempi che illustrano l’affermazione figura il seguente: «le trippe del pretore Mamurra, panzone barocco, erano trippe barocche»; l’allusione è alla incredibile rapacità e voracità del personaggio, che Catullo rappresenta come capace unicamente di «divorare grassi patrimoni» (Flores 1964: 383). Dallo stesso carme catulliano proviene l’aggettivo «superfluente» (traboccante, detto di Mamurra in 29, 6), riferito all’immagine in dagherrotipo del generale Pastrufacio (assai somigliante a quella di Garibaldi) che, sempre nella Cognizione, campeggia su una delle pareti della camera di Gonzalo («superfluente dalle cornici dei ritratti»: RR I 625). E altre coniazioni lessicali che sicuramente rimandano a Catullo trapelano qua e là dall’opera di Gadda (Flores 1964: 389 sg).

Al carme 29 allude scopertamente anche il titolo di uno dei racconti degli Accoppiamenti giudiziosi, Socer generque, scritto nel ’47, e ambientato nelle cerchie della borghesia italiana del ’41: il rimando è al v. 24 del carme, socer generque perdidistis omnia [suocero e genero, ogni cosa avete mandato in rovina]; da parte di Gadda, il riferimento catulliano a Cesare e Pompeo è trasferito su Mussolini e Galeazzo Ciano, ai quali nel racconto è dedicato un excursus tanto spassoso quanto degradante.

è abbastanza tipico della scrittura gaddiana il fatto che le sue citazioni da autori antichi e moderni subiscono talora una trasformazione così profonda che qualsiasi interprete faticherebbe alquanto a riconoscerle, se non fosse per le esplicite dichiarazioni dell’autore. Leggiamo un brano delle Meraviglie d’Italia, dove lo scrittore indugia sugli odori che emanano da una pescheria milanese:

nel nostro animo si accendono, traverso le nari, fantasie di fiumi e di fontane e di docce, e i cori gocciolanti dei tritoni e delle nereidi, con codazzo infinito di pesci d’ogni freschezza e sapore, d’ogni sale e d’ogni melma. (SGF I 59)

Per l’espressione «d’ogni sale e d’ogni melma» Gadda rimanda in nota ai vv. 2-3 del carme 31 di Catullo, in liquentibus stagnis marique vasto [nelle distese chiare dei laghi e nel vasto mare]; la trasformazione opera qui in funzione talmente degradante, che l’interprete stenterebbe assai a coglierla. Analoghe considerazioni valgono per un passo del Castello di Udine, che descrive la villa del Cardinale d’Este a Tivoli:

Cento fistole, quinarie tutte, comandò il Cardinale in delizia, e poi mille, da beverarne le piante a’ cipressi. (RR I 258)

Le note apposte da Gadda a questo testo fanno scherzosamente il verso a quelle di un commento, compresa la registrazione delle dubbiose perplessità dell’interprete, posto di fronte a un passaggio irto di difficoltà esegetiche. Egli ci informa, per esempio, che «piante» sono qui da intendersi quelle dei piedi (per gli alberi, le radici); e che tutto il passo va pertanto tradotto nella maniera seguente: «Il cardinale (Ippolito II da Este, 1509-1572) commise ai fontanari la fontana delle cento cannelle e i giochi tutti dello specioso giardino; ma la freschezza dell’acqua abbevera le radici dei cipressi». Qualche sorpresa è riservata dal seguito del commento:

I due numeri ricordano Catullo, Carm. V, 7 «mille deinde centum» [mille e poi cento (i baci che il poeta desidera da Lesbia)], la qualità degli alberi Orazio, Carm. II, XIV, 22-24 «neque harum quas colis arborum | Te praeter invisas cupressus | ulla brevem dominum sequetur» [Di questi alberi che fai coltivare e possiedi per poco tempo nessuno ti seguirà, a parte l’odioso cipresso]. (RR I 278)

Un interprete di particolare acume sarebbe forse riuscito a individuare la citazione da Catullo; ma era praticamente impossibile scovare, all’interno del dettato gaddiano, il ricordo dei versi di Orazio, pure essenziale per cogliere l’allusione alla precaria transitorietà dei fasti del Cardinale. La maniera in cui Gadda trasforma e rivela i testi che nutrono la sua immaginazione letteraria sembra davvero fatta per invogliare alle più avventurose speculazioni intertestuali.

Università di Firenze

lunedì 25 marzo 2013

LEGGE BANCARIA fascista, nuova legge bancaria opportunista, MPS e ANTONVENETA

Un mio carissimo amico e collega ai tempi della mia attività ispettiva ha incontrato la signora Tarantola in terno a Milano. Facondo e brillante ha saputo intrannere l'attuale presidentessa della RAI per un buon quarto d'ora. L'oggetto del pur breve colloquio non fu certo la problemativa del mezzo televisivo nazionale; si perlò della crisi della Vigilanza sulle Aziende di Credito e per connessione della Banca d'Italia.
Il mio amico non la pensa come me: reputa intemerata la Banca d'Italia, considera atti dovuti gli atteggiamenti permissivi dell'attività ispettiva, considera somma saggezza il nuovo assetto della Legge Bancaria.
In qualcosa concordo, in quasi tutto, no!
Reputo la dottoressa Tarantola, nella veste di unica donna ascesa al Direttorio della Banca d'Italia INCOLPEVOLE quanto alla vicenda del Monte dei Paschi di Siena. E la reputo INCOLPEVOLE perché, sicuramente senza nessuna sua consapevolezza, insipenti strutture consultive della BI hanno stravolto la vecchia Legge Bancaria, invero d'epoca fascista ma ribattezzata con l'acqua santa della nuova Costituzione repubblicana. L'assetto pubblicistico fascista potè accedere alla massima nobiltà democratica in forza dell'art. 47 quello che porta le firme di Enrico De Nicola, Umberto Terracini, Alcide De Gasperi, guardasigilli Grassi.
Delucidare qui il concetto sarebbe tedioso per eccesso di erudizionismo politico e giuridico. Bando a siffatto tedio! Un appunto solo: recitava l'artico 1 della legge bancaria fascista: "La raccolta di risparmio fra il pubblico e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico". Averlo cassato bovinamente nel nuovo testo unico ha significato una derubricazione pritastistica dalle deleterie conseguenze impreviste ed imprevidibili. Per dirne una, il governatore diventa men che meno di un presidente di una banca incapace di far conto economico, da chiudere al più presto possibile per straperdita del capitale sociale. Ormai i suoi compiti statuali nel settore del credito, della vigilanza, dell'irrogazione di sanzioni sono stati delegati alla BCE. Si è plaudito all'accentramento della vigilanza bancaria in capo all stessa BCE senza capirne i riflessi castranti in Italia.
Per il taglio di questo mio (salace) intervento, passo oltre. Mi attacco a questa vicenda che ha già un morto sulla coscienza: la morte di David Rossi; parlo del Monte dei Paschi di Siena.
Sotto la vecchia legge bancaria spettava alla Banca d'Italia un rigorosa applicazione dell'art. 48 che recitava: "La proposta relativa [alla "facoltà di fodersi o di procedere ad incorporazione" tra banche] deve essere sottoposta dagli organi amministrativi delle aziende al preventivo nulla osta della Banca d'Italia".

Recita ora l'art. 57: "la banca d'Italia autorizza le fusioni e le scissioni alle quali prendono parte le banche quando non contrastano con la sana e prudente gestione...".

Devo sottolineare quanta marpioneria vi è stata in questa traslazione normativa? Una cosa è un nulla osta preventivo, un'altra un'autorizzazione come atto dovuto se non ricorrano impalpabili contrasti "con la sana e prudente gestione". Il nulla osta aveva portata pubblicistica; quella attuale fa scemare l'istituto della "autorizzazione" ad una mera e semplice constatazione privatistica della inesistenza di elementi confliggenti, in via del tutto privata, il con vago concetto di sana e prudente gesione. In linea con Basilea, si dirà. Appunto. Ma non è proprio qui che si apre un baratro sconcertante  in cui proprio l'ordinamento sezionale del credito italiano sta affogando?

Quanto al nulla osta ex art. 48 L.B. abrogato ho vissuto un quarto di secolo fa una esemplare vicenda. Contestai Fazio in ordine alla congruità di cambio tra Banca Mediterranea e Banca di Roma. Mi basavo su una mia perizia che pubblicata nel mio blog CONTRA OMNIA RACALMUTO viene ancor oggi letta con interesse. Inviai un irriverente TELE a Fazio che manco mi rispose. Feci partire pagine di fuoco per la CONSOB. Risposta: ero un privato e nulla mi si doveva. Ma facero qualcosa? Credo nulla. Omissioni di atti di ufficio? Non so.
 Già la CONSOB! Si abbia consapevolezza che ormai la vigilanza è demandata alla Consob. Tanti appunti alla Banca d'Italia sono incompetenti. E quanto alla vicenda MPS, rivolgersi appunto alla CONSOB. La Banca d'Italia ne è (ne è stata messa) fuori. Figuriamoci la dottoressa Tarantola. Vi sono gli scottanti affari MPS e ANTONVENETA. La Banca d'Italia fu chiamata a rilasciare autorizzazioni? Di certo non più "nulla osta" ex art. 48 ex L.B. Ha appurato i dati di una "sana e prudente gestione"? Se sì, con quali modalità e competenze e conoscenze? Di certo la dottoressa Tarantola all'epoca dei fatti non credo che avesse competenza alcuna. Di chi la competenza? Non lo so, sto fuori BI da trent'anni ed ancor oggi sono ritenuto un reprobo da tenere il più lontano possibile. Me ne vanto. Non mi importunano neppure per un piccolo consiglio. E dire che per l'esperienza che ho affastellato  a diverso titolo, potrei essere utile. Spero che il nuovo assetto del sindacato ex comunista dei pensionati. mi dia possibilità di dire anche la mia. Non scadrei in petulanti rivindiche.
Calogero Taverna

venerdì 22 marzo 2013

La supponenza dell'ignorante lo rende anche imbecille

C O R , il mio Blog Contra Omnia Racalmuto





Una cosa è certa: non piacerò giammai a Michel Montaigne. Dicono che Montaigne disse: il linguaggio che mi piace è un linguaggio semplice e spontaneo, tale sulla carta quale sulle labbra.
Pasolini infilzò un giovane Sciascia con una figura retorica: ipotassi. Sciascia ne fu stizzito ma per amore della gloria s’inchinò.
Tutti dicono che divennero amici per la pelle. Non ci credo .. non foss’altro per diversità di gusti sessuali.
Anche alla Maraini ,a Racalmuto ,volevano estorcere un atto di grande empatia con lo scorbutico siculo. Maraini fu abile e glissò. Fresca era nella memoria di tanti l’isterica aggressione della nobile di Sicilia per una faccenda di matriarcato, qui da noi: cosa verissima ma che sovvertiva ossificati giudizi sul nostro essere maschi imperiosi.

Non sono ipotattico, sono peggio. Reduce dagli sberleffi dell’altro ieri per il mio modo di scrivere, debbo rammentare chi nel darmi del “desueto” e dell’ “antiquato” si proclamava Racalmutese fiero. Qualche altro, anonimamente, prima invocava l’’albatro, che poteva significare anche corbezzolo, quell’arbusto circondante il giardino dei sogni erotici di Sciascia per visionarie traspunzioni dal lubrico Tiziano alle nude e pingui ericine danzanti oltre la siepe della Noce, avanti il maniero di un Matrona al maschile, ma troppo maschile, e poi vittima di autoschediasmi avrebbe avuto l’ardire di insegnarmi le leggi dell’assennato pensare.
Comico, solo comico, un mancato pastore mi rimproverava velleitarismi attingenti a spocchie della Crusca. Parla comu ti nzignà to pà e to mà: dialettale imperio di un anonimo senza acume.
Io non ho voglia di piacere a Montaigne: mi piace la contorsione, l’ellissi, la prolissità, l’iperbole, il desueto, meglio il vetusto, il cacofonico, l’imo della volgarità, nominare apertis verbis parti infami che Dio creò in libertà e preti coprirono di vegogna, e se una copula invereconda mi attrae a dispiegamento di un mio uzzolo, di una mia allegoria, di un mio sogno represso, perché obnubilarla? Divengo pornograficamente esplicito, con l’accortezza di dirlo in qualche mio oscuro libro, chissà in qualche romanzetto dal giallognolo titolo come La Donna del Mossad.
Approdo al teologo in braghe, Vito di nome, cognominato Mancuso, per convivere con Siracide (consulto in fretta e furia wikipedia: Il Libro del Siracide (greco Σοφία Σειράχ, sofía seirách , "sapienza di Sirach"; latino Siracides) o più raramente Ecclesiastico (da non confondere con l'Ecclesiaste o Qoelet) è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata) ma non accolto nella Bibbia ebraica (Tanakh). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, (mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.) e salmodiare:
La fornace prova gli oggetti del vasaio
La prova dell’uomo si ha nella conversazione.
Il frutto dimostra come è coltivato l’albero,
così la parola rivela il sentimento dell’uomo.
Non lodare un uomo prima che abbia parlato,
poiché questa è la prova degli uomini.
Per celia dico sussurro e ammicco: sono un eretico: Impossibile a nulla credendo. Se fossi Scalfari mi dichiarerei “laico non credente” e persino il signor arcivescovo di Giorgenti mi darebbe udienza. Anch’io come Scalfari salii scale lapidee in quel di Giorgenti, non volli piegarmi dinanzi a un’ostia esposta che ipostatizzava tutto intero Jehovah: Il padre di Tanu subito si genuflesse, seguì lungo lungo l’evanescente presidente del circolo unione, padre Puma dovette. Di là un vescovo rubeo non ebbe sussiego: finì a schifiu.
Eretico io? No, solo dadaista (non nel senso di dar plauso ad un vaso per piscio, ma come dire “vi sommergeremo in un mare di ridicolo”). E negletta la lingua gesticolare dei padri, arraffo in ALSO SPRACH ZARARHUSTRA. Naturalmente ignoro il tedesco.
Naturalmente orde di erinni di religiosa fattura mi azzannano: signorine in sacrestia, maritate all’anagrafe fraintendono e mi latrano con riservato messaggio: Come osi? Bestemmi lo spirito santo, il soffiatore fecondo della vergine maria? E già, sì. Ma non perché ami la giustizia solo perché rispetto i parti delle vergini in capillis.
Quando son umile, rarissimamente, canto con Omero i versi dei vecchioni che dicono di essere ormai solo frivoli uccellini (non i riddilii di Totò) che sulle cime degli alberi cinguettano saggezza vetusta, dopo scarnificanti aggressività dell’età che si dice matura. Ma di ciò in altro tempo. Spero nel mio blog, tutto mio, senza censori, senza censure.


5 commenti:

giovedì 21 marzo 2013

Signor Governatore riprenda la tradizione lasciata da Guido Carli


Ill.mo Signor Governatore dottor Visco,

se Le dico che sono l'ex ispettore di Vigilanza Calogero Taverna, colgo un sorriso: Carneade chi era costui.

Avventuroso siciliano bazzico di questi tempi la città di Rieti. Provo grande rammarico nel vedere sbarrata – e mi dicono in vendita alla Fondazione Cassa di Risparmio – la gloriosa filiale BI.



La realtà reatina è molto complessa e nulla ha a che fare con la regione o con la stessa provincia di Roma. Non riesco a comprendere come si proceda ad obnubilare, per discutibili lesine sulla spesa, gloriose istituzioni.



Una sede provinciale è centro propulsivo propugna iniziative oculate e crea cultura, lega la periferia al centro, corregge distorsioni negli affari bancari e finanziari al momento del loro insorgere ed altro, altro ancora. Svolge una vigilanza a stretto contatto con il territorio; giammai è vacuità dispersiva di fondi pubblici.



Sono legato alla vecchia legge bancaria e per me resta ineludibile il brocardo iniziale che voleva raccolta del risparmio ed esercizio del credito faccende di “interesse pubblico”, espressione che non convinceva i legulei ma che ha determinato miracoli economici ed ispirato governatori sommi.



Visto che in questo momento forze esterne non si sono potute impossessare dello scranno di via Nazionale 91, La prego Signor Governatore si conceda una pausa di riflessione, si convinca che risparmi per riforme dissennate ed “incolte” vanno dismessi. Gli “americani” che sono approdati a palazzo Koch vanno rettificati, corretti, ripensati e i loro errori gestionali devono essere superati ripristinando l'autoctona cultura italiana.



E ciò glielo dico da Sinistra.



Riapra Rieti ed altre provvidenziali strutture della periferia. Il Paese gliene sarebbe grato.

Mi scusi l'ardire e voglia accettare il mio augurio a che Ella imiti e superi Guido Carli. Riprenda la gloriosa strada del Governatore guida dello sviluppo del Paese.

Calogero Taverna


Banca d'Italia - le nuove prospettive


Carissimo Angelo,



ho tanto apprezzata la lettera tua al Foglio con quell'inquietante quis custodiet custodes? Vedo che oggi, sempre sul Foglio, ingenui giovincelli e giovincelle sembrano risponderti. Dal canto mio ho inviato una noticina in cui sparando i primi colpi sulla grandiosità del grand commis dello Stato dottor Angelo De Mattia, una qualche sardonica saetta contro i vari macchiati e rizzi sono riuscito a scoccare. Credo che non me la pubblicheranno, E ciò sarà istruttivo per me. Intanto, visto che luglio sta trascorrendo, vorrei mandargli, come lettera al direttore, il “pezzo” non giornalistico che tu sai. Diversamente va a male per discronico riferimento.

Ti accludo il testo della mia noticina.



Pur astretto in angusti spazi, Angelo De Mattia solleva il “quis custodiet custodes?” per le agenzie di rating ed ammonisce sulle manipolazioni dei tassi Libor ed Euribor: mondi misteriosi per noi maldestri fruitori delle propinate libagioni economicistiche. Angelo De Mattia, arcigno ed impenetrabile uditore di tanti sproloqui, sa dopo profondere il suo superiore ingegno nello spiegare, ammonire, prospettare ad onta dei macchiati odierni o dei rizzi castali di ieri. Lo conosciamo da trent'anni e più; lo abbiamo anche avversato nelle roventi riunioni USPIE-CGIL, irriso, forse, a proposito di una centoventisette dispensata dai vertici di Bankit per ammansire i rossi della nuova prorompente dirigenza (Micosi, sì proprio lui segretario della sezione PCI di via del Boschetto, primo; lo sfortunato Frasca, secondo e il nostro eroe settimo): ma appunto per questo abbiamo raccolto le nostre pive nel sacco, perché Angelo era di impareggiabile ingegno, di irresistibile dialettica, di lungimiranza politica, di saggezza inossidabile e per giunta geniale organizzatore. Se Fazio lo volle accanto a sé, lui cattolicissimo e quasi bigotto, l'altro rosso incorruttibile e grintosamente laico, non fu certo per maneggi parapolitici. Poi, la decaduta manovalanza bankitalia avrebbe preteso sindacalistiche accondiscendenze. La pioggia dei privilegi retributivi, assistenziali e persino mutualistici diradò e la rabbia dei mediocri si appuntò contro chi si riteneva avere ambo le chiavi del cuore di Antonio. Oggi abbiamo una USPIE (o come dir si voglia) vomitevole verso il suo geniale fondatore.

Spero che Lei signor Direttore – unico gigante di quella lingua veicolare che attiene al mondo giornalistico (gli altri o sono troppo vecchi o troppo giovani oppure se dell'età di mezzo, pipistrelli, mezzo topi e mezzo uccelli) – conceda adeguati spazi al caro Angelo, perché ci spieghi e ci ammaestri: ne è in grado, credo addirittura, in certi campi il solo. Certo ora potrà scorticare un tal Tremonti, che come ex superispettore del Secit di Reviglio potrei persino io …. sublimare.

Calogero Taverna





Debbo aggiungere che riprendendo un vecchio testo di diritto amministrativo e pubblico di V.E. Orlando

(Scritti giuridici varii – 1941-1952 – Giuffré 1955) le budella mi si torcono avendo presente questo stralcio giornalistco che trovo in Internet.



V.E. Orlando discetta da par suo su Norma e Fatto. Per il dottor Fazio, la norma violata sarebbe quella di aver perso “il ruolo di vigile equidistanza”. E quale il fatto? Ha abbandonata quella cogente EQUIDISTANZA “ per assumere consapevolmente quello di 'regista occulto' e di istigatore, determinato a perseguire - con ogni mezzo fraudolento e/o elusivo della normativa in tema di opa e di patti parasociali - il suo fine di mantenere saldo il principio dell'italianità della banca".



Siamo di fronte alle follie ermeneutiche; a pasticci (pare che la Ichino di pasticci se ne intenda, s'intende quelli culinari) giuridici da incolti del diritto. Cassata la vecchia legge bancaria (che non era fascista, ma sottile, laica forse massonica) ed anche quella nuova (pur tanto vulnerasta da imperiti legislatori e vacui conoscitori di cose bancarie), la stessa lettura – tutta meneghina - del Pratis, le illuminanti letture delle considerazioni finali di fine maggio di cinque colosi signori Governatori, la consolidata anche se sofferta giurisprudenza, gli studi di una Consulenza legale, il pensiero di costituzionalisti al di sopra di ogni sospetto.



Già, si dice, Fazio è stato assolto. La banchetta spagnola gli dovrebbe restituire la provvisonale malaccortamente ed improvvidamente comminata da una pretoressa ignara dei problemi della italiana bilancia dei pagamenti- Ma quella banchetta credo che oggi è nella morsa della illiquidità bancaria di cui parlano i giornali d''oggidì- Fazio aveva vigilata,aveva preventivato la idoneità dello straniero ente creditizio, l'improvvida scalata spagnola ad una nostra colossale banca di diritto pubblico. Al danno, aggiunerà ora la beffa per colpa di una pasticciera che il Consiglio superiore della magistratura non sa o non vuole valutare.



Così va la giustizia italiana!



Calogero Taverna




martedì 19 marzo 2013

dico la cazzata del secolo. . Ma, sarà mica che una volta le rivoluzioni accadevano quando il popolo tutto, era saturo di oppressioni che lo costringevano alla fame mentre oggi, il popolo e' frammentato da persone che stanno bene e persone che stanno male quindi, non unito in effetti ? Unito solo in parole trite e ritrite che danno luogo a lungaggini politiche che, senza fretta, e con finto atteggiamento diplomatico, propinano ai più deboli l'illusione di una rapida ascesa? Oh mio dio Scusatemi tanto..


  • A Di Terra Profumo e altri 5 piace questo elemento.

  • Ilario Maniero mh puo essere ..

  • Fabio Privitera occorre aver fame... e... a dispetto di quanto si possa dire e circolare... il popolo ha ancora troppo stomaco pieno.

  • Salvatore Iovini amaro o limoncello?

  • Di Terra Profumo Limoncello.. Ma quindi non ho detto proprio una cazzata.. !

  • Salvatore Iovini e no...come diceva il buon Fabio ancora non viene la vera fame

  • Salvatore Iovini ci siamo vicini però

  • Calogero Taverna No! Solo dici cose improprie, luoghi comuni. Tu sai che ti voglio bene anzi molto di più e che è soo per paura di venore frainteso che faccio l'arido, l'arido di cuore. Se parlo con i salesiani è un< cosa. Mi diverto e faccio male. Siccome non credo in Dio me ne fotto. Se parlo con una bella donna come tè, insorge in meil terrore della donnache è innato in noi della >

  • Calogero Taverna Magna Grecia approdati su certe coste del mare Africano (Mediterraneo). Sono greco, di DNA speciale come scrissi aliunde. POLITICA è termine tutto nostro (Aristotele, Platon etc.) e voi siate troppo nordici per capire. Credo che tu sia longobarda. Certo Bisanzio dimorò e influenzo la tua terra. Ma tese al bizantinismo; insomma a ciarlaremenre Bisanzio bruciava. Dovresti essere manco emiliana, addirittura romagnola. Romagna terra mia, cantate allegramene, mi pare. Fai tanto la misteriosa e quindi posso prendere degi abbagli.

  • Calogero Taverna Sai bene che non sono modesto. Fingo. Metto tutti alla prova e dopo due o tre colpi mortali pochissimi sopravvivono. Alla faccia della modestia, dirai. Alla faccia della modestia, dico. La modestia o come piace dire ad una mia interlocutrice romana laureata, l'umiltà sono entrambe, comuqnue le si intendono ilchiedere misericordia da perte dei mediocri.Io sarò tutto, giammai mediocre. E tu che sei tutt'altro che mediocre ( sei tra l'altro anche una grande gn.. nome la sento di dire la parola giusta, ma hai capito) tela ridi con me della modetia (che dovevano averle bambine dalle monache, non dovevano mostrare le bambette .. al massimo pronube di quelle carezze che a tuo avviso si possono fare se si sanno carezzare le calze. Volevo scriverti che le carezze devono andare ben oltre, verso altri lidi ed i maschi se imparano imparano quando è troppo tardi).

  • Calogero Taverna Torniamo alla politica. La politica è l'arte del buon governo, Il buon governo non si predica si realizza.Ogni empo esprime i politici giusti, adeguati alla bisogna. Non ci sono politici bravi e politici cattivi. C'è l'intellettuale collettivo che democraticamente scegliamo. E questo intellettuale collettivo è obbligato a realizzare ilbene comune possibile, non quello voluto da papi poverelli o da comici dal fastidioso frinire comico. Così va la storia realisticamente, non seguendo sogni impossibili. Quelli vanno lasciati ai musici de serie c che fanno piacevoli e ruffiane canzonette.

  • Calogero Taverna Noi italiani da quelche secolo di filosofi veri ce ne abbiamo pochini. Togli Vconel Settecento e Rosmini (chi lo conose?ed è grandissimo) e ti trovi con cacciari o certi logofoni in nero delle televisioni berlusconiani.Da un po' di tempo si atteggia a filosofo persino sgarbi. ma vada a chiavare e na mettere incinte troppe donne.

  • Calogero Taverna Due capisaldi: Marx sostanzialmente ci insegna che il cpitalismo nn mette su tappeto alcun problema se non ha in tasca la soluzione. Certo la soluzione che fa comodo al capitalismo, ma sempre soluzione è. Io odio, per prevenzione ideologica, il capitalismo. Si dà però il caso che mi ci trovo a mio agio a quel dio biondo. Mi ha fatto non dico ricco, ma più che benestante, sì. Senza capitalismo mi toccave passare da aiutante dei micro Punieddi di racalmuto a titolare della loro barberia. Sai che bello?.

  • Calogero Taverna Altro capisaldo: Vico, napoletano, pensa ad una storia fatta di corsi e ricorsi, Sì, vero. Ma sono corsi e ricorsi non rietitivi, avvengono luna una sorta di spirale elicoidale ed è certo che il punto più basso ella nuovo giro di boa è più alto del punto alto della precedente spirale. Immagini certo, ma fanno intendere. Il 2013 inzia in Italia un nuovocorso storico, complesso, critico, preoccupante, ma è palingenesi. Si sale, sempre più in alto all'infinito. Dietro vi è una accoumulazione captalistica che ci fa star meglio tutti. Indietro non si torna (almeno finché è il razionalismo capitalisco che regge e governa questo Stato di millenaria civiltà). Chi ignora la storia, che è imbevuto imecilli supestizioni religiose chi fa il cinico arricchendo facendo il comico, chi nulla sa dello Stato Etico da Hegel in poi, inveisce eblatera. Lascia che i morti seppelliscano i morti ammonisce il vangelo di chissà quale apocrifo evangelista. In questo sono evangelico.

  • Di Terra Profumo Calogerooooo!!!! Prima di tutto un sorriso. E anche un bacio. Aggiungo un abbraccio solo perché, ne son ricca. Fai finta che mi siedo li, vicino a te. Ti prendo la mano destra , ti guardo e ti dico: "Calogero grazie, grazie perché io non lo sapevo mica che Bisanzio mi avesse potuto donare (col suo DNA) il coraggio di parlare con un mito di nome Calogero. Io, comunque, penso di non riuscirci neppure se m'impegno a fare la misteriosa, il mistero di me, viene alle persone che non credono, subito, al mio sfacciato modo di essere me stessa. Perché non ti senti di dire che sono una gran gnocca? Un altro matto mi ha detto che il bello e' di chi guarda. (non e' bello ciò che e' bello ma e' bello ciò che piace).. Felice di piacerti. Le carezze in rapporto alle calze. Non so che tipo di amante potresti essere stato o sei. Ma so, che se dico a te che un uomo che si sofferma ad accarezzare le calze sulle gambe di una donna prima di slacciarsi i pantaloni e' un uomo che sa accarezzare, tu comprendi cosa io intenda per carezza. - il buon governo non si predica, si realizza.. L'intellettuale collettivo scelto da noi. Calogero, ma ci siamo cosi' tanto atrofizzati? Rinsecchiti? Rimbecilliti? Il Dio biondo (capitalismo) ... Sorrido perché e' bello ascoltarti. .. Parlavo proprio ieri con un amico e ci dicevamo: ma, e ritrovarci con un bel gruzzoletto in tasca .. Guadagnato in base alle tariffe del ns. Impegno sia ben chiaro, che faremmo? .. Buona notte amico carissimo..

  • Calogero Taverna MI LEGGI TROPPO DENTRO: SONO PREOCCUPATO.TI ABBRACCIO

  • Di Terra Profumo Ti voglio bene.. Tanto eh! Un bacio

  • Calogero Taverna Volermi bene dopo il predicozzo politico che ti ho sciorinato, che coraggio! Ovvio che non posso non accrescere il mio sentimento ammaliato verso te. Spero che non abbia al momento uomini cui stai a cuore, naturalmente, gelosissimi, perché diversamente avrei timore per qualche schioppettata forse anche a lupara.
    Amor che a nullo amato amar perdona, dice Dante, ma tra noi vi è una barriera di un migliaio di chilometri per temere. E di costui (di costei) mi prese piacer sì forte che ancor non mi abbandona (dice sempre Dante, ma gli amanti li manda giustamente all’Inferno).
    Ho da confessarti che il turpiloquio mi disturba. L’allusione erotica? Ci vado a nozze. Purché elegante, raffinata, immaginifica. Diversamente è parlare da angiporto, è per me non degno dell’uomo; equivale al ragliare di un asino infoiato. Descrivo la scena di un asino infoiato nel mio raccontino: LA Donna del Mossad.
    Il mio si vede che è un residuato bellico. Residuato di quanto chierichetto porgevo la patena alle procaci bocche di signore che allora mi sembravano l’immagine dell’amore inquietante. Non erano bellissime come te, di sicuro ma per il mio ancora non smaliziato occhio sapevano di peccato appetibile. D’altro senso erano gli occhi cerulei della bambinetta che aveva il trasporto degli angeli. Gli amori infantili, son bellissime cose che nessun poeta credo abbia mai cantato o saputo cantare.
    Ma altro inferno scoppiava: d’improvviso esplodeva un fuoco giù tra le gambe, un fuoco che si riusciva a spegnere con un fibrillante piacere umidiccio. Ma il prete vigile che ammoniva che quello era peccato che Dio puniva persino accecando. Questa per me è criminale pederastia, etica certo, ma violenta su attoniti fanciulli appena impuberi.
    Voi donne non capirete mai questo entarre del maschio nel mondo del sesso: sgomento, peccato, piacere, vietato. Disturbi psichici. Alienazione. Smarrimento. E se avete figli maschi, forse non saprete mai educarli come è vostro dovere. Il padre, non si occupa di queste sciocchezze. Solo le figlie femmine vanno salvaguardate. E di solito in modo bigotto, nel modo più deviante possibile.
    Perché tutta ‘sta ciarla? Non lo so!

  • Di Terra Profumo Ahahah... Uuuuu! Calogero, io ci sarò all'inferno, perché come il buon don, diceva a te di restar accecato, dettava a me i 10 comandamenti che non ho mai rispettato se non uccidere (ma forse perché non ho mai posseduto un arma) e rubare (la fortuna di avercelo sempre trovato un pane e un pollo sul tavolo). Se anche tu, soggiornerai in quel luogo, accorri a me per tenermi la mano perché io, vedi, avrò i tacchi.. E sarà un continuo rischio di rovinose cadute tra mani e teste lagnose .. Cosi potrò passeggiare da te sorretta, mentre mi racconterai di Catullo, Bisanzio , socrate .. Io sono il collettivo, ne faccio parte tutta, e non ho una mente che conosce la storia del passato o il comportamento socioculturale per formulare un'idea che abbia un nesso con quello o con questo. Io rappresento il popolino dell'ultimo stadio della scala sociale, conosco la cultura del buon senso e della praticità . Sono una donna di campagna che di ogni cosa si faceva utilità . Non posso parlare di politica non potrei far comizi. Capisco solo che se oggi ho 100 euri e non ne spendo, qualcosa non mi torna se mi sveglio la mattina con nel portafoglio 50 euri... Ma anche se me ne trovo 150 mi faccio domande. Ecco il mio semplicissimo modo di vedere le cose. Leggimi le poesie, mi piacciono tanto .. Le capisco a mio modo e nessuno mi può impedire di provare un emozione con la poesia, con la musica, davanti ad un quadro.. L'emozione che tu provi davanti ad un'opera della quale conosci la storia, poco si differenzia dall'emozione che provo anch'io, davanti alla stessa opera, senza saperne nulla o quasi nulla.... Non mi credi vero?

  • Calogero Taverna No ti credo eccome!Ad una cosa non credo che tu possa essere una del popolino. A9 Non esiste il popolino. esiste invece ilpopolo e tutti ne facciamo parte con pari dignità, con pari responsabilità, con pari diritto a vivere la nostra vita, nn comevogliamo ma come va vissuta. C) Mi piace l'idea ad andarcene all'inferno e tu con i tacchi che svetti accanto a me che vi andrei per avere avuto trappa presunzione nel credere di sapere. D) Un piccolo dettaglio: non credo nell'inferno, né nel paradiso, ne in Dio, né nei santi, né nel santo padre. E) Ad una cosa credo: nessuno di noi ha chiesto neppure ai propri gentori di immetterci in questa vita. Ma visto che non si sa comeci siamo finiti, viviamola questa vita nel modo più gioioso possibile. F) E la gioia di un uomo o di una donna, dell'essere umano insomma tout court gira e rigira si rachiude tutto in quell'arcano piacere che è l'amore (non mi piace la parola, ne vorrei una più appropriata, ma non la trovo) fisico, tattile, ardito, innocente perchè tutto peccaminoso.

  • Calogero Taverna Mi sto divertendo mettendo un quadro di Guttuso sul mio monitor. Non durerà a lungo: è troppo peccaminoso. Mi dispiace ma la lussuria in noi siciliani è densa, inestinguibile. Con parole pudiche cerco d descrivere il quadro: lui floscio, nudo esausto a pancia in area sul letto disfatto e ben due donne adipose,addome un po' gonfio ma deretani procaci, una detro l'altra cercano di andare in soccorso ell'unicomaschio. La prima è già prona prossima al cavalco, di sopra, la seconda impiedi, con seno ignudo giovanilissimo (Marta marzotto, quarantenne?) che aspetta il suo turno. Ma forse stacchi cinematografichi. Scena unica, donna unica. E' lecito ostendere oscenità siffatte? E' depravazione parlarne? Licet insanire?

  • Di Terra Profumo Ho cliccato "mi piace" .. Mi piace molto quel che dici. Viviamo la vita in maniera gioiosa. Più che possiamo ...

  • Calogero Taverna Ma può esserci un'altra lettura. Lui su una stuoia (al mare? in campagna? in una stalla emblematicamente?) caprigno adamitico folta la chioma ma il capo recliato sulla sinistra. Sfinito, troppo presto sfinito. Lei delusa, si ritrae a carponi emostra intattoun retro panoramico, come di un schermo di vecchia televisione. E sempre lei alzata, imprecante, con la sinistra che la porta ai capelli ciprigni, disfatti, lunghi, ancor pregni del sudore per sforzi continuati ma troppo presto inutili, per lei s'intende. Il quadroè godibile se tu pigi googol - guttuso - immagini. Trovlo E se osi, rispondimi. Forse a questo punto censuriamoci. Chissà che cosa il mondo per bene, quello che no si crede appartenere al popolino finirebbe col pesare. Sbaglierebbe comunque.

  • Di Terra Profumo "bosco d'amore" il desiderio dell'altro, la seduzione...l'infedeltà. L'unico senso dell'esistenza e' di essere esistenza nel suo fluire etc... L'avrei anche posto qua ma, non sembra possibile condividerlo...

  • Calogero Taverna Qui mi sembri un po' sfuggente... C'è in te quell'eerno amletico " vorrei e non vorei". Sei stata così tutta la vita .. Non cambieraicerto ora solperché ti stai imbattendoin uno stambo folletto del dire.(Quanto al mio intimo pensare edessere credo di avere ordito ormai mille astuzie presentarmi nudo al cospetto dell'altro o altra che dir si voglia). Già il fatto che in tre o quattro occasini abbia elusomei inquirenti qusiti ... mi dà lA MISURA DEL tuo mistero. Il mstero delaltro è quanto di divinamente umano vi è in noi. Misterium fidei non soloformula della santa messa di ieri, ma è traslazione del divino nell'umano. Dio che si fa uomo ma non per inani credenze salfifiche , solo per empito esistenziale dell'uomo che crea dio, i divino.

  • Di Terra Profumo Buongiorno Calogero, anche tu sei un mistero per me, ma a differenza della paura verso tutto ciò che ci e' ignoto, tu mi tranquillizzi... Buona giornata. Qua piove..

  • Calogero Taverna Mancherò una settiana. Andrò a Vercelli per cercare di rilanciare un bancone di tre mie cugine anzionotte rimaste senza marito per l'esplodere del matriarcato siciliano. Ne parlo nel mio nuovo blog PRO OMNIA. Poi cercherò di raggiungere il carcere duro d OPERA ove sta un mio compaesano ERGASTOLANO OSTATIVO. Nel parlo a lungo nella corripondenza in un suo blog INFORMACARCERE AFREDO SOLE Vi è là uno spaccato dell'altra faccia del mondo, molto tragica. Altro che i nostri giochi esistenziali che gira e rigira sono tripudi di gioia borghese. Cose agghiaccianti di questa società che capovolgono e stravolgono ogni mia imposta visione gioiosa. Nulla di erotico, lì. Solo sofferenza umana.

  • Di Terra Profumo Allora sarà un viaggio faticoso.. .. Porterai un po' di te da scambiare con un po' di lui (del tuo amico) tornerai appesantito ma qua ci sarò io. Acqua fresca che fa sorridere.... Un bacio.

  • Calogero Taverna Grazie! Ci tengo