martedì 1 ottobre 2013

Miscellanea sindoniana

Interni

Quel caldo venerdì di fine giugno 1974. Corsi e ricorsi storici

Banca-dItalia-3Calda estate allora come adesso, un venerdì pomeriggio arriva un ordine da Via Nazionale 91: allertare tre ben specifici giovani ispettori della Vigilanza bancaria per un colloquio col signor Governatore nella mitica grande sala del San Sebastianino. Vengono chiamati il futuro direttore generale dottor Enzo De Sario, il siciliano dottor Calogero Taverna, l’impeccabile dottor Piero Izzo. E’ la fine di giugno del 1974. Cose vecchie di 38 anni fa si direbbe, ormai archiviati. Sì, se in questo afoso come allora giugno non avessimo un epilogo (in parte assolutorio, in parte scandalosamente accusatorio) di un viluppo conflittuale tra poteri costituzionali: magistratura e governo dell’economia. Quel giugno del ’74 si chiuse con un compiacente decreto Sindona, assolutorio di uomini e cose; il corrente giugno ha tappe capovolte: un’assoluzione ormai non più riparatrice ed una salomonica riduzione di pena da parte di togati inidonei a comprendere le superiori leggi che governano i mercati, le borse, l’ordito bancario, la bilancia dei pagamenti, le sorti dell’economia nazionale. De jure condito e de jure condendo precipitiamo tra vacui e perniciosi lacci e laccioli, che miseramente di taglio privatistico soffocano la superiore salvaguardia dell’economia nazionale dell’intera comunità statuale (se lo Stato è ancora un valore).
Nel pomeriggio del venerdì di quell’altro giugno aspettammo a lungo prima di essere ricevuti dal Governatore: lo trovammo costernato oltre misura. La mattina la borsa inglese aveva rubricato le tre banche milanesi che facevano capo a Sindona come “inaffidabili”. A nulla era valso un elogiativo fondo sul Corrierone, a firma Enzo Biagi. Banca Unione e Banca Privata Finanziaria si erano ingolfate in un forsennato intreccio speculativo in cambi ed avevano accumulato perdite stratosferiche. Come? Banca Unione veniva affidata all’ispettore dott. Enzo De Sario (che poi diverrà direttore generale B.I.). La “Privata” al sottoscritto, esodato anzitempo per incompatibilità politica. Al sottoscritto ebbe a presentarsi dopo pochi giorni dall’inizio della visita ispettiva un nobile banchiere dell’epoca: Clerici di Cavenago. Esibì una carpetta di carte, in parte fogli di un elaborato elettronico, in parte un rendiconto manuale a scalare di c.d. operazioni in cambi.
Mi fu detto che trattavasi di outright a catena andati in male alle varie scadenze, chiusi con swap i cui spot chiudevano l’operazione a termine mentre i forwod rinviavano a data futura gli outright risultati perdenti per irrazionalità dei cambi a termine. I nuovi cambi a termine gonfiavano quelli di mercato per l’inglobamento degli interessi maturati. Naturalmente il discorso mi risultò del tutto ostico. Per riprendermi andai a comprare il don Chischotte e così consolarmi col fatto che il povero Sancio ebbe a rifiutare l’argomento del suo principale il quale lo voleva convincere che non v’era saggista di Spagna che osasse privare il suo pievano del gusto di infliggergli un buon numero di nerbate.
Resta il fatto che le banche poi finirono, come noto, in malora ma difficilmente riuscireste a trovare in una qualsiasi delle sentenze di condanna un qualche accenno a tali operazioni veramente esiziali per il patrimonio aziendale, causa precipua del dissesto fallimentare.
Eppure di trattava di una speculazione valutaria dell’ordine di $ 3.659.511.933, nonché di DM 2.905.097.000, di Lgs. 10.000.000 e di Frb. 175.000.000 di acquisti a termine contro $ 4.036.975.594, nonché di DM. 1.153.650.000 e di Lgs. 25.000.000 per vendite a termine. E ciò solo per la Banca Privata Finanziaria: vi erano poi le analoghe immani perdite della Banca Unione. Ne parlavo alle pagg. 46-47 del mio rapporto; ne discettava a lungo uno strano libro, SOLDI TRUCCATI, che la Feltrinelli pubblica il primo gennaio 1980 e, pur andato a ruba, spari incomprensibilmente da tutte le librerie dopo solo pochi giorni. I magistrati di Milano lo ebbero in mano ma non ne fecero niente. Perché non riuscivano a comprendere l’ordito anti doveroso di forte rilevanza penale? Certo allora risultò patriottico non capire, tanto vi era la travolgente vulgata di uno strabiliante concerto mafioso. Sciascia, che un qualche pizzicotto lo ebbe a soffrire in questo dannato caso Sindona, scrisse, sempre sul Corrierone, di professionisti dell’Antimafia.
Senza mezzi termini ci va ora di affermare che quella caterva di operazioni speculative in cambi finiva col determinare alle scadenze un tale sconquasso valutario e borsistico che non poteva non venire registrato dalla Banca d’Italia e dell’UIC. Infatti, le Autorità sapevano. Tacevano? No. Non potevano che essere gli artefici occulti di ciò che ritengo una contro speculazione del concerto delle Banche Centrali (Unione Sovietica in testa). Ma ciò sarebbe acqua passata se la storia non si ripetesse. Ribadiamo che allora le Autorità riuscirono a fare apparire il tutto come una insana diavoleria mafiosa del Sindona. Non era un santo. Se fu suicidato, pace all’anima sua.
Quel che mi interessa è l’attualità. Allora di questa dissennata speculazione valutaria la magistratura non capì o non le fu fatto capre alcunché. Non vi è un accenno nelle sentenze delle varie condanne. Eppure avevano (tra l’altro) il mio rapporto ispettivo. Eppure potevano leggere il libro Soldi truccati, ove l’aspetto valutario del crack Sindona è tutto spiattellato.
Oggi una domanda si impone: perché allora tanta sonnolenza mentale della magistratura milanese e perché invece oggi si inventano colpe immaginarie di intelligenti, saggi, avveduti grand commis dello Stato. Il Governatore della Banca d’Italia ha mansioni costituzionali di difesa della moneta, e di avvedutezza nrl sovrintendere alla politica bancaria. Il Governatore è anche il banchiere dei banchieri: deve agire in armonia con le peculiarità dei mercati e delle borse, necessariamente aperti alle aggressioni speculative mondiali. Se è impari, perché astretto dai lacci e laccioli di cui parlava Carli, beh! povera economia finanziaria nazionale.
Ed un Governatore non può non servirsi di banchieri ultra abili e competenti, anche arditi nel contrastare i calli di giochi degli speculatori esteri e soprattutto “estero-vestiti”. La calata degli Unni non si rintuzza con l’ottusità del perbenismo togato. Non vi sarà più la Costituzione Materiale con cui inventare la “rilevanza” della Banca d’Italia a livello della legge suprema, ma ogni suo connesso fatto va visto alla luce del riflesso costituzionale visto che in definitiva si tratta di apicali Autorità monetarie. Un gretta osservanza di regolette di diritto privato possono significare inadempienza istituzionale ben più colpevole.
17 agosto 2012
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lunedì 2 settembre 2013

si rivolga ad Enrico Deaglio - ammesso che lo trovi in Italia - e forse le dirà la verità. Mi creda confermerebbe quanto dico

Calogero Taverna

Ad una disinformata e petulante signora che osa offendermi e addirittura incolparmi di appropriazione indebita rispondo a modo mio. Tutto qui sotto.

Mara Corcione Sono d'accordo. È auto esaltazione e appropriazione indeb...ita. Il libro è stato scritto da Romano Gattoni. Lui non è più con noi. Ma ci sono testimoni la moglie, i figli e tutta Lotta Continua e Carlo Feltrinelli. La percentuale delle vendite a lui spettante sono andate a finanziare LC.

Calogero Taverna Questa signora non so chi sia, ma mi pare affetta da satiriasi. Romano Gattoni, mio carissimo amico e collega e compagno, non poteva sapere nulla di un certo Sindona che da Messina arriva a Racalmuto, non poteva sapere nulla delle operazioni speculative in cambi presso la Privata finanziaria. Presso la Privata finanziaria qualcuno aveva fatto l'ispezione, non il caro amico Gattoni. Romano nel IV trimestre del 1979 scrisse una serie di articoli in Lotta Continua, ma le foto dei fissati bollati chi gliel'ha date e chi gli ha spiegato i collegamenti che lui stando ai Rapporti col Tesoro non poteva sapere? Romano Gattoni non venne a casa mia a prendersi quella quintalata di fotocopie che si dice in fondo al libro depositata presso la Fondazione Feltrinelli. Vennero De Aglio, Boato, Mimmo Pinto e qualche ragazzotto che poi divenne qualcuno ma presso Berlusconi. Vuole che continuo signora? La famiglia credo che abbia il mio manoscritto, tutta calligrafia mia signora. Romano, l'avrà battuto a macchina, questo sì. Romano rischiava brutto stando in Banca d'Italia, ma più brutto poteva capitare a me perché più elevato in grado e perché ispettore. Ne faccio accenni in La Donna del Mossad. Certo, Lombard (alis Romano Gattoni, qualche pagina la scrisse, ma fu De Aglio a scrivere la maggior parte di quanto non scrissi io che però ne scrissi la maggior parte (i 4/5 appunto). Forse mi hanno corretto l'italiano, ma entrambi non potevano sapere quello che determinò lo tsunami bancario. Lei parla di un Feltrinelli. Mi dica allora perché non pubblicò più la riedizione del libro (il cui titolo si deve a De Aglio) che in pochi giorni era andato esaurito. Quando alla signora Gattoni (l'occasione mi è propizia per salutarla con tantissimo affetto, memore delle serate passate assieme a mia moglie in casa sua, magari al tremore di terremoti spaventosi e tra qualche scoppio di fucile. Romano Gattoni si espose andando a firmare un contratto che poteva costargli il licenziamento della Banca d'Italia d'accordo che i soldi dovevano (erano già andati) andare a LOTTA CONTINUA per farla sopravvivere. Io ci ho rimesso pure un milione di lire in titoli di stato datimi in pagamento di certi aumenti BI. Signora bella, se vuole, continuo all'infinito. Sarò tutto ma non un autoesaltato. Mi sa però che lei essendo donna ha certe vampe fisiologiche e quindi finisce che qualche volta sproloquia. Se poi, giustamente, non mi crede, si rivolga ad Enrico Deaglio - ammesso che lo trovi in Italia - e forse le dirà la verità. Mi creda confermerebbe quanto dico.

giovedì 4 aprile 2013

Saluto al nuovo Governatore della Banca d'Italia


Pregiatissimo Signor Governatore, dottore Ignazio VISCO,

 

 

Dopo trentun’anni di pensionamento dalla Banca d’Italia, ricevo per la prima volta un gentilissimo biglietto augurale. Me lo invia il novello Governatore dottore Ignazio Visco. Segno anche questo di una mutata visione dirigenziale al vertice della Banca d’Italia. Non sono certo così ingenuo da pensare che si tratti di un atto di personale attestato magari per le mie recenti battaglie di stampa a favore di una rinnovellata e rinnovellabile Banca centrale. Sono sicuro che ormai il mio nome è finito tra gli anonimi e anodini tabulati dei tanti, troppi pensionati di vecchia data. Certo, interruppi il mio rapporto di lavoro subordinato con la Banca d’Italia nel 1982 dopo atteggiamenti a me ostili ed anche ingrati. Non posso avercela, però, con l’Istituzione cui sono indefettibilmente legato, ma con certi uomini di apicale supremezia, sì. Nutrivo un dissidio che portò anche a qualche indispettita decisione non apprezzata all’esterno: non credo che la Banca d’Italia, intemerata nella sostanza quanto a correttezza fiscale, si potesse indurre ad un non esemplare condono tributario se, come superispettore del Secit di Reviglio, non avessi sollevato una grossa questione di elusione tributaria. Portavo con me una competenza di prim’ordine acquisita all’interno del mio Istituto di appartenenza. Tanto da essere segnato dal dottor Sarcinelli come uno dei soli tre validi – a suo avviso – ispettori di Vigilanza.

Era momento cupo nei rivolgimento direttoriale della Banca Centrale ed uomini non proprio eccelsi erano subentrati per i vuoti determinati anche da indebite ingerenze politiche, e, se si vuole, anche da acredini  magistratuali.

Ma veda, signor Governatore, io avevo dato lustro e decoro alla Banca d’Italia: cito mie ispezioni rimaste esemplari: Banca Fabbrocini, Banca Privata Finanziaria,  Cassa di Risparmio di Rimini (perché no?), e soprattutto Cassa di Risparmi di Livorno (e qui certo non fui tenero neppure con colui che poi divenne quello che divenne). Allora, perché il signor Cerciello mi aggirò sino a farmi credere che se andavo al Secit era per conto della BI e quale riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo, se una sera prima il dottor Ciancaglini stabiliva che andavo per mia personale scelta e quindi era sin troppo generoso l’istituto se mi accordava soltanto una integrazione del più basso stipendio del mio nuovo Ente ministeriale che si avvaleva della mia professionalità?

Mi dirà – e lo ripeto anch’io – che son faccende personali e tutto sommato insignificanti Ma ripeto queste mie rimostranze solo per affermare che il mio attaccamento all’Istituto ove sono entrato quasi cinquantadue anni fa, non è mai venuto meno. E troppo ho sofferto nel notare devianze che sono solo di singoli uomini e  troppo mi fa male vedere soggetti che sono venuti su dalla Banca d’Italia accordare interviste che sanno di delazione, di allusivi coinvolgimenti e per la mia Vigilanza ispettiva di misconoscimento irriguardoso.

Di sicuro, tanti prima cresciuti e prosperati in BI , ne hanno approfittato per consulenze, entrature, remuneratissimi   collegamenti. Vi è stata una deriva che ha prodotto un non simpatico effetto alone. Mi auguro che Ella appia arginare. Ne ha tutti i tratti di rigore congiunto anche a signorilità.

Le ho inviato una missiva – che stampa e Articolo 21 hanno pubblicato – in ordine alla non saggia chiusura della Filiale di Rieti. Non ha ritenuto di darmi neppure un cenno di ricezione. Ne ha tutto il diritto e non sarò certo io a contestarglielo. Ma guardi che le ragioni che adduco sono valide e scottanti. Vi è stata una gestione del personale che va corretta. Non vedo perché soggetti quali chi scrive, non debbano essere ascoltati: hanno esperienza, integrità, intelligenza, insospettabilità. Tutte doti acquisite in quella vera grande scuola che è una militanza nella carriera direttiva della Banca d’Italia, e che per giunta  trattasi di dirigenti hanno avuto suggello di superiore livello in tanti anni di attività ispettiva della Vigilanza bancaria. E ciò in una fase di grande crescita culturale, giuridica e tecnica, in cui mi vanto di aver dato un originale apporto persino tuttora ricordato ed apprezzato.

Non me ne voglia, signor Governatore per questo mio dire. Faccia dare, per cortesia, uno sguardo a quanto scrivo in ARTICOLO21, nel mio blog CONTRA OMNIA RACALMUTO: si accorgerà che certo mio livore è contro la profanazione del tempio in cui mi sono formato. E noterà  che la mia stima nei Suoi confronti è massima, anche per certe affinità culturali.

Per le prossime feste Le giungano i miei fervidi auguri. Ma anche l’auspicio che Le consentano di dare il meglio di sé che è sconfinato ed incomparabile.

Calogero Taverna. 

mercoledì 6 febbraio 2013

Inizia la mia requisitoria contro (o a favore?) della Banca d'Italia


Sogghigno: leggo ora un vecchio esordio della Banca d’Italia inteso ad illustrare la (sua) attività di Vigilanza in armonia delle “norme comunitarie  e delle intese di cooperazione internazionale”;  ci si era prodigati nello sforzo di “completare il processo di armonizzazione comunitaria della NORMATIVA PRUDENZIALE”. Questa parola PRUDENZA inizia a martellare in scritti, pensieri, norme, disposizioni, istituti, organi di controllo, nella CONSOB, nella Banca d’Italia nella sua VIGILANZA AMMINISTRATIVA (un tempo in via Nazionale 127) e in quella ISPETTIVA (nel simpatico palazzotto di Santo Spirito in Via Milano, dismesso per un infinocchiamento  parsimonioso). Sotto mano ho per il momento la relazione del 1995. Chi erano i dioscuri di Palazzo Koch?

Governava Antonio Fazio, “ragionava” Vincenzo Pontolillo (squisitissima persona, letterariamente erudito, ma credo che non avesse mai visto in vita sua un testo magari di ragioneria scolastica).  Andiamo oltre : Dini se n’era andato Ministro (buon per lui) ed al suo posto Vincenzo De Sario (oh, dio! L’uomo più onesto del mondo ma grinte manageriali non gliene riconosco e quanto ad imprenditoria bancaria, lasciamo perdere; si ignora che la Banca d’Italia è sempre banca, la banca delle banche e non è con il rigore formalistico che la si può amministratore: il direttore generale deve dirigere  come capo di un moderno management;  il Governatore .. in alto “governa”.  Pier Luigi Ciocca accede alla carica di Vice Direttore generale (un eccellente accademico – dopo – dei Lincei). Vanno in Consiglio Superiore  il dottor Alberto Zapponini, il dottor Angelo Barovier. Consiglio Superiore, che cosa sarà mai? Mi richiama il Gran Consiglio del Fascismo. Ed ora come allora questa fiera dormiente all’improvviso sa svegliarsi per creare sconquassi. Vi ricordate il 25 Luglio? Beh, di recente anche questo sosia di un supremo organo collegiale senza poteri si è svegliato ed ha mandato (in senso buono) la Tarantola alla RAI (godetevela) e Ignazio Visco al Governatorato. Insomma un fendente che può essere esiziale a Berlusconi e un ritorno ad un comunismo radical-chic anche se stavolta (me lo auguro) senza spruzzatine massoniche.

*  *  *

Ho messo questi tre asterischi e chiudo per il momento il mio abbrivio nato per irridere all’attuale Banca d’Italia, ai vicedirettori in gonnella con teste chiomate oltre il credibile, agli ispettorini che ai mie tempi manco esistevano. Volevo infilzarli ma mi fermo d’improvviso alla lettura informatica di questa perla di saccente disinformazione.

Un teste che ora dovrà vedersela con certi servizi che il servizio se vogliono sanno farlo in modo letale cerca di sgattaiolare e di rifugiarsi a Trani.

Dice il desso: «Non sono io il supertestimone ma la dottoressa Tarantola» - dice Rizzo -, l'ex vicedirettore generale della Banca d'Italia che nel novembre 2010 lesse la relazione dei propri ispettori su Mps non trovando nulla da eccepire. Di diverso avviso sembra essere la Procura di Trani, orientata all'archiviazione della posizione dell'attuale presidente Rai.»

Non amo la Tarantola, è cattolica, porta nel sacrario maschilinissimo di Palazzo Koch la gonnella, credo di averla solo sfiorata (per cose di Vigilanza s’intende) nell’estate del 1980.

Imposimato in un tunnel sotterraneo di un palazzo poliziesco, da servizi segreti, in quel dell’EUR mi aveva impallinato. Con grazia e gentilezza a dire il vero, diversamente dal quel Falcone là in quel di Palermo che a Sciascia aveva inferto flagellazioni morali che lo portano alla morte. Si trattava del caso Sindona, ma non è qui la sede per parlarne. Avevo le ore contate come ispettore della Vigilanza della Banca d’Italia con sede nel palazzotto (oggi alienato) di via Milano, a sinistra andando in sù.

Alla Banca d’Italia venivano anche allora uzzoli paraispettivi senza capo né coda: dovevamo controllare i limiti di accrescimento: non ispezioni vere e proprie dunque, ma “mirate” un termine a dire il vero appreso dalla Gialla  al SECIT di Reviglio, ai tempi miei quelle visite senza capo né coda alle banche si chiamavano “ispezioni parziali”. Vedo che oggi il dr. Vincenzo Cantarella (non so cosa ne pensassero i dottori De Varti, Di Veglia, Rivieccio. Pierbon e credo il mio fratello di razza dr. Omar Qaram) ci copia a noi del FISCO e si autolimita dichiarando quello che fa: nient’altro che un “accertamento mirato”.

Lo confesso lo volevo sansebastianare ma quando ho letto quella decade di ciò che un tempo si chiamavano ”rilievi”, ho lasciato perdere. E’ un compito da esame di ammissione alla nuova carriera direttiva della Banca d’Italia: vi ho contato 54 termini inglesi (media di 5,4 per ogni rilievo) e una mezza dozzina di acronimi di assurdo accumulo di ignoti e forse anglicani lemmi. Non ci ho capito niente (o fingo). Con orgoglio mi ricordai della mia intima soddisfazione quando nell’autunno del 1974 arrivò finalmente il mio rapporto sulla Banca Privata Finanziaria (alias SINDONA) sul tavolo del governatore Carli. Questi dopo averlo letto mi dissero che ebbe ad esclamare: Oh! finalmente un rapporto che si capisce. Si vendicava forse con Montanelli che incomprensibili dichiarava le sue “mariane” CONSIDERAZIONI FINALI.

E quanto alla sostanza, rammento ancora il bofonchiare napoletano di Occhiuto che al giovane porgitore di un rapporto ispettivo dispensava in preambolo il suo ammonimento: ccì sono arrubbamienti ca del resto nun ccì nni frega nenti!

Orbene se io non ho capito, ancor meno poteva capire la brava dottoressa Tarantola, perché quella parte aperta nulla dice di significativo, di “sanzionabile” di “denunciabile”. Lo proverò in un secondo tempo.

Certo se tutto si limitò alla “parte aperta”  chissà chi ci vuole addottrinare. Qui dovere della magistratura è anche quello di appurare quale diavoletto ebbe piacere di farci recapitare codesti  sette fogli disponibili negli uffici esecutivi del MPS. Mancano però gli allegati. Creduti forse insignificanti. Ed invece no!
La parte aperta si sa bene è vetrinetta. C’è ben altro, ma sta nelle carte che finiscono seduta stante agli atti per dire che sono inesistesti a quelle autorità esterne che avessero titolo a richiederle. Ma sta nelle elaborazioni che i collaboratori (li abbiamo citati) redigono e spesso stridono con i bocconi amari delle due  successive mannaie  censorie che il povero capo missione è costretto a subire (solo il sottoscritto può vantarsi di essere riuscito a dribblarli; ma voglio vedere quando rinascerà più un eretico ispettore come me nelle felpate stanze dell’Ispettorato Vigilanza – ma non ho fatto eccelsa carriera: sono stato sanzionato da Ciancaglini.

Chiudiamo per il momento questa puntata: la Tarantola – buon per lei – non è colpevole di nulla signor Rizzo, nulla seppe perché nulla le è stato detto (di significativo). Se si ignora, ci si deve star zitti, diversamente è giusto che si paghi.  

lunedì 13 maggio 2013

Lettera a VISCO


Pregiatissimo Signor Governatore, dottore Ignazio VISCO,

 

 

Dopo trentun’anni di pensionamento dalla Banca d’Italia, ricevo per la prima volta un gentilissimo biglietto augurale. Me lo invia il novello Governatore dottore Ignazio Visco. Segno anche questo di una mutata visione dirigenziale al vertice della Banca d’Italia. Non sono certo così ingenuo da pensare che si tratti di un atto di personale attestato magari per le mie recenti battaglie di stampa a favore di una rinnovellata e rinnovellabile Banca centrale. Sono sicuro che ormai il mio nome è finito tra gli anonimi e anodini tabulati dei tanti, troppi pensionati di vecchia data. Certo, interruppi il mio rapporto di lavoro subordinato con la Banca d’Italia nel 1982 dopo atteggiamenti a me ostili ed anche ingrati. Non posso avercela, però, con l’Istituzione cui sono indefettibilmente legato, ma con certi uomini di apicale supremezia, sì. Nutrivo un dissidio che portò anche a qualche indispettita decisione non apprezzata all’esterno: non credo che la Banca d’Italia, intemerata nella sostanza quanto a correttezza fiscale, si potesse indurre ad un non esemplare condono tributario se, come superispettore del Secit di Reviglio, non avessi sollevato una grossa questione di elusione tributaria. Portavo con me una competenza di prim’ordine acquisita all’interno del mio Istituto di appartenenza. Tanto da essere segnato dal dottor Sarcinelli come uno dei soli tre validi – a suo avviso – ispettori di Vigilanza.

Era momento cupo nei rivolgimento direttoriale della Banca Centrale ed uomini non proprio eccelsi erano subentra ti per i vuoti determinati anche da indebite ingerenze politiche, e, se si vuole, anche da acredini  magistratuali.

Ma veda, signor Governatore, io avevo dato lustro e decoro alla Banca d’Italia: cito mie ispezioni rimaste esemplari: Banca Fabbrocini, Banca Privata Finanziaria,  Cassa di Risparmio di Rimini (perché no?), e soprattutto Cassa di Risparmi di Livorno (e qui certo non fui tenero neppure con colui che poi divenne quello che divenne). Allora, perché il signor Cerciello mi aggirò sino a farmi credere che se andavo al Secit era per conto della BI e quale riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo, se una sera prima il dottor Ciancaglini stabiliva che andavo per mia personale scelta e quindi era sin troppo generoso l’istituto se mi accordava soltanto una integrazione del più basso stipendio del mio nuovo Ente ministeriale che si avvaleva della mia professionalità?

Mi dirà – e lo ripeto anch’io – che son faccende personali e tutto sommato insignificanti Ma ripeto queste mie rimostranze solo per affermare che il mio attaccamento all’Istituto ove sono entrato quasi cinquantadue anni fa, non è mai venuto meno. E troppo ho sofferto nel notare devianze che sono solo di singoli uomini e  troppo mi fa male vedere soggetti che sono venuti su dalla Banca d’Italia accordare interviste che sanno di delazione, di allusivi coinvolgimenti e per la mia Vigilanza ispettiva di misconoscimento irriguardoso.

Di sicuro, tanti prima cresciuti e prosperati in BI , ne hanno approfittato per consulenze, entrature, remuneratissimi   collegamenti. Vi è stata una deriva che ha prodotto un non simpatico effetto alone. Mi auguro che Ella appia arginare. Ne ha tutti i tratti di rigore congiunto anche a signorilità.

Le ho inviato una missiva – che stampa e Articolo 21 hanno pubblicato – in ordine alla non saggia chiusura della Filiale di Rieti. Non ha ritenuto di darmi neppure un cenno di ricezione. Ne ha tutto il diritto e non sarò certo io a contestarglielo. Ma guardi che le ragioni che adduco sono valide e scottanti. Vi è stata una gestione del personale che va corretta. Non vedo perché soggetti quali chi scrive, non debbano essere ascoltati: hanno esperienza, integrità, intelligenza, insospettabilità. Tutte doti acquisite in quella vera grande scuola che è una militanza nella carriera direttiva della Banca d’Italia, e che per giunta  trattasi di dirigenti hanno avuto suggello di superiore livello in tanti anni di attività ispettiva della Vigilanza bancaria. E ciò in una fase di grande crescita culturale, giuridica e tecnica, in cui mi vanto di aver dato un originale apporto persino tuttora ricordato ed apprezzato.

Non me ne voglia, signor Governatore per questo mio dire. Faccia dare, per cortesia, uno sguardo a quanto scrivo in ARTICOLO21, nel mio blog CONTRA OMNIA RACALMUTO: si accorgerà che certo mio livore è contro la profanazione del tempio in cui mi sono formato. E noterà  che la mia stima nei Suoi confronti è massima, anche per certe affinità culturali.

Per le prossime feste Le giungano i miei fervidi auguri. Ma anche l’auspicio che Le consentano di dare il meglio di sé che è sconfinato ed incomparabile.

Calogero Taverna. 

lunedì 11 marzo 2013

RISPOSTA DI UN EX AL NUOVO GOVERNATORE bi


domenica 23 dicembre 2012

Lettera a Ignazio Visco

 

Pregiatissimo Signor Governatore, dottore Ignazio VISCO,

 

 


Dopo trentun’anni di pensionamento dalla Banca d’Italia, ricevo per la prima volta un gentilissimo biglietto augurale. Me lo invia il novello Governatore dottore Ignazio Visco. Segno anche questo di una mutata visione dirigenziale al vertice della Banca d’Italia. Non sono certo così ingenuo da pensare che si tratti di un atto di personale attestato magari per le mie recenti battaglie di stampa a favore di una rinnovellata e rinnovellabile Banca centrale.
Sono sicuro che ormai il mio nome è finito tra gli anonimi e anodini tabulati dei tanti, troppi pensionati di vecchia data. Certo, interruppi il mio rapporto di lavoro subordinato con la Banca d’Italia nel 1982 dopo atteggiamenti a me ostili ed anche ingrati. Non posso avercela, però, con l’Istituzione cui sono indefettibilmente legato, ma con certi uomini di apicale supremazia, sì. Nutrivo un dissidio che portò anche a qualche indispettita decisione non apprezzata all’esterno: non credo che la Banca d’Italia, intemerata nella sostanza quanto a correttezza fiscale, si potesse indurre ad un non esemplare condono tributario se, come superispettore del Secit di Reviglio, non avessi sollevato una grossa questione di elusione tributaria. Portavo con me una competenza di prim’ordine acquisita all’interno del mio Istituto di appartenenza. Tanto da essere segnato dal dottor Sarcinelli come uno dei tre validi – a suo avviso – ispettori di Vigilanza.

Era momento cupo nei rivolgimento direttoriale della Banca Centrale ed uomini non proprio eccelsi erano subentrati per i vuoti determinati anche da indebite ingerenze politiche, e - se si vuole - anche da acredini magistratuali.

Ma veda, signor Governatore, io avevo dato lustro e decoro alla Banca d’Italia: cito mie ispezioni rimaste esemplari: Banca Fabbrocini, Banca Privata Finanziaria, Cassa di Risparmio di Rimini (perché no?), e soprattutto Cassa di Risparmi di Livorno (e qui certo non fui tenero neppure con colui che poi divenne quello che divenne). Allora, perché il signor Cerciello mi frastornò sino a farmi credere che se andavo al Secit era per conto della BI e quale riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo, se la sera prima del commiato il dottor Ciancaglini stabiliva che andavo per mia personale scelta e quindi era sin troppo generoso l’istituto se mi accordava soltanto una integrazione del più basso stipendio del mio nuovo Ente ministeriale che si sarebbe avvalso della mia professionalità?

Mi dirà – e lo ripeto anch’io – che son faccende personali e tutto sommato insignificanti. Ma ripeto queste mie rimostranze solo per affermare che il mio attaccamento all’Istituto ove sono entrato quasi cinquantadue anni fa, non è mai venuto meno. E troppo ho sofferto nel notare devianze che sono solo di singoli uomini e troppo mi fa male vedere soggetti che sono venuti sù dalla Banca d’Italia accordare interviste che sanno di allusivi coinvolgimenti e per la mia Vigilanza ispettiva di misconoscimento irriguardoso.

Di sicuro, tanti prima cresciuti e prosperati in BI , ne hanno approfittato per arditi collegamenti. Vi è stata una deriva che ha prodotto un non simpatico effetto alone.


Mi auguro che Ella sappia arginare. Ne ha tutti i tratti di rigore congiunto anche a signorilità.
Le ho inviato una missiva – che stampa e Articolo 21 hanno pubblicato – in ordine alla non saggia chiusura della Filiale di Rieti. Non ha ritenuto di darmi cenni di ricezione. Ne ha tutto il diritto e non sarò certo io a contestarglielo. Ma guardi che le ragioni che adduco sono valide e scottanti. Vi è stata una gestione del personale che va corretta. Non vedo perché soggetti quali chi scrive ed altri come lui, non debbano essere ascoltati: hanno esperienza, integrità, intelligenza, insospettabilità. Tutte doti acquisite in quella vera grande scuola che è una militanza nella carriera direttiva della Banca d’Italia, e che per giunta trattasi di dirigenti che hanno avuto suggello di superiore livello in tanti anni di attività ispettiva nella Vigilanza bancaria. E ciò in una fase di grande crescita culturale, giuridica e tecnica, in cui mi vanto di aver dato – insieme ad altri - un originale apporto persino tuttora ricordato ed apprezzato.

Non me ne voglia, signor Governatore per questo mio dire. Faccia dare, per cortesia, uno sguardo a quanto scrivo in Articolo 21, nel mio blog Contra Omnia Racalmuto : si accorgerà che certo mio livore è contro la profanazione del tempio, di quel tempio in cui mi sono formato. E noterà che la mia stima nei Suoi confronti è massima, anche per certe affinità culturali.

Per le prossime feste Le giungano i miei fervidi auguri. Ma anche l’auspicio che Le consentano di dare il meglio di sé che è sconfinato ed incomparabile.

 

Calogero Taverna.

domenica 23 dicembre 2012

Lettera a Ignazio Visco


Pregiatissimo Signor Governatore, dottore Ignazio VISCO,



Dopo trentun’anni di pensionamento dalla Banca d’Italia, ricevo per la prima volta un gentilissimo biglietto augurale. Me lo invia il novello Governatore dottore Ignazio Visco. Segno anche questo di una mutata visione dirigenziale al vertice della Banca d’Italia. Non sono certo così ingenuo da pensare che si tratti di un atto di personale attestato magari per le mie recenti battaglie di stampa a favore di una rinnovellata e rinnovellabile Banca centrale.
 Sono sicuro che ormai il mio nome è finito tra gli anonimi e anodini tabulati dei tanti, troppi pensionati di vecchia data. Certo, interruppi il mio rapporto di lavoro subordinato con la Banca d’Italia nel 1982 dopo atteggiamenti a me ostili ed anche ingrati. Non posso avercela, però, con l’Istituzione cui sono indefettibilmente legato, ma con certi uomini di apicale supremazia, sì. Nutrivo un dissidio che portò anche a qualche indispettita decisione non apprezzata all’esterno: non credo che la Banca d’Italia, intemerata nella sostanza quanto a correttezza fiscale, si potesse indurre ad un non esemplare condono tributario se, come superispettore del Secit di Reviglio, non avessi sollevato una grossa questione di elusione tributaria. Portavo con me una competenza di prim’ordine acquisita all’interno del mio Istituto di appartenenza. Tanto da essere segnato dal dottor Sarcinelli come uno dei tre validi – a suo avviso – ispettori di Vigilanza.
Era momento cupo nei rivolgimento direttoriale della Banca Centrale ed uomini non proprio eccelsi erano subentrati per i vuoti determinati anche da indebite ingerenze politiche, e - se si vuole - anche da acredini  magistratuali.
Ma veda, signor Governatore, io avevo dato lustro e decoro alla Banca d’Italia: cito mie ispezioni rimaste esemplari: Banca Fabbrocini, Banca Privata FinanziariaCassa di Risparmio di Rimini (perché no?), e soprattutto Cassa di Risparmi di Livorno (e qui certo non fui tenero neppure con colui che poi divenne quello che divenne). Allora, perché il signor Cerciello mi frastornò sino a farmi credere che se andavo al Secit era per conto della BI e quale riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo, se la sera prima del commiato il dottor Ciancaglini stabiliva che andavo per mia personale scelta e quindi era sin troppo generoso l’istituto se mi accordava soltanto una integrazione del più basso stipendio del mio nuovo Ente ministeriale che si sarebbe avvalso della mia professionalità?
Mi dirà – e lo ripeto anch’io – che son faccende personali e tutto sommato insignificanti. Ma ripeto queste mie rimostranze solo per affermare che il mio attaccamento all’Istituto ove sono entrato quasi cinquantadue anni fa, non è mai venuto meno. E troppo ho sofferto nel notare devianze che sono solo di singoli uomini e  troppo mi fa male vedere soggetti che sono venuti sù dalla Banca d’Italia accordare interviste che sanno di allusivi coinvolgimenti e per la mia Vigilanza ispettiva di misconoscimento irriguardoso.
Di sicuro, tanti prima cresciuti e prosperati in BI , ne hanno approfittato per arditi collegamenti. Vi è stata una deriva che ha prodotto un non simpatico effetto alone. 
Mi auguro che Ella sappia arginare. Ne ha tutti i tratti di rigore congiunto anche a signorilità.
Le ho inviato una missiva – che stampa e Articolo 21 hanno pubblicato – in ordine alla non saggia chiusura della Filiale di Rieti. Non ha ritenuto di darmi cenni di ricezione. Ne ha tutto il diritto e non sarò certo io a contestarglielo. Ma guardi che le ragioni che adduco sono valide e scottanti. Vi è stata una gestione del personale che va corretta. Non vedo perché soggetti quali chi scrive ed altri come lui, non debbano essere ascoltati: hanno esperienza, integrità, intelligenza, insospettabilità. Tutte doti acquisite in quella vera grande scuola che è una militanza nella carriera direttiva della Banca d’Italia, e che per giunta  trattasi di dirigenti che hanno avuto suggello di superiore livello in tanti anni di attività ispettiva nella Vigilanza bancaria. E ciò in una fase di grande crescita culturale, giuridica e tecnica, in cui mi vanto di aver dato – insieme ad altri -  un originale apporto persino tuttora ricordato ed apprezzato.
Non me ne voglia, signor Governatore per questo mio dire. Faccia dare, per cortesia, uno sguardo a quanto scrivo in Articolo 21, nel mio blog Contra Omnia Racalmuto  : si accorgerà che certo mio livore è contro la profanazione del tempio, di quel tempio in cui mi sono formato. E noterà  che la mia stima nei Suoi confronti è massima, anche per certe affinità culturali.
Per le prossime feste Le giungano i miei fervidi auguri. Ma anche l’auspicio che Le consentano di dare il meglio di sé che è sconfinato ed incomparabile.

Calogero Taverna.  



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