sabato 6 luglio 2013
Squarcio spinto della Donna del Mossad di Calogero Taverna
Dopo settimane telefonò addirittura il presidente democristi
ano della camera; consolò il direttore generale; gli accreditò la sua fiducia. Suggerì imperiosamente che non era il caso di querelare il giornalista di ABC. Il direttore ubbidì. A tempo debito ricevette una parcella plurimilionaria. Il presidente della camera esigeva la liquidazione della sua assistenza legale (mai richiesta). Erano i tempi antecedenti la prima repubblica.
Supra tuttu, s’iu vi futtu
Iu mi sentu furtunatu,
nun invidiu li ricchizzi
o la sorti d’autri pizzi,
ca li cunni chiù prigiati
si gudisciuni a michiati.
Non chiedetemi perché mi va di scomodare Domenico Tempio, il diverso Muzzicapassuli della “grammatica pilusa”, nel sentirsi fortunato se consegue l’osceno coito, mi richiama gli echi di quella era democristiana quando le propensioni anali erano figurate ma anche vere.
Capitolo secondo
L’osceno collega di Aurelio
E per stare in armonia con la scurrilità di così spregevole richiamo letterario (ma in incomprensibile vernacolo), corre qui l’obbligo (come burocratese non è poi da buttar via) di rimembrare il secondo ceffone di questo ameno racconto che affibbiato ad un poco stimato collega diveniva lo scialo del dottore Aurelio La Matina Calello, nelle sue rare affabulazioni di salotto.
Nel tedio delle sere del sabato, il napoletano collega di Aurelio, rimasto solo, amava raggiungere l’uggiosa Torino. Vi si annoiava ancor più ma non desisteva. Soddisfaceva invero un suo vizietto occulto: comprare riviste porno, complici ed invoglianti nelle sue solitarie masturbazioni nel vacuo lindore della stanza d’albergo, che pur era matrimoniale ed ampia. Comprarle a Cuneo, si vergognava, temeva di essere riconosciuto.
Ed una volta l’attrasse un’inserzione osée: coppia disinibita accoglieva nel proprio talamo purché .‘dotato’. «Lui contemplativo», nel gergo di allora (come dire: nessun pericolo omosessuale … ed il collega ispettore odiava l’omosessualità virulentemente. “Garrusazzu”, restava per lui vituperevolissimo figuro).
Si lasciò adescare: “fermo posta”; foto riservata (andò da un valentissimo fotografo cuneese), etc. etc., tutto l’armamentario per siffatti incontri, insomma.
Quando un sabato sera, freddissimo ma terso e stellato, suonò alla porta di una signorile villetta di via Morgari quell’ispettore Bankitalia dilagò in vertigini, eccitamenti, sensi di colpa, smarrimenti. Venne accolto da un signore cinquantenne, brizzolato, composto, quasi ieratico.
- si accomodi dottore, ma nell’androne-soggiorno, luci diffuse sì ma rivelatrici, il disappunto dell’ospite fu palese. Con piemontese autocontrollo, il moto ostile slabbrò subito in un sorriso affabile ed accogliente.
- il drink glielò servo io, capisce la servitù l’ho lasciata libera, ed ovvio, fu inappuntabile.
L’investigatore Bankitalia strabiliava: era un bell’uomo, charmant, ricco ed allora perché? Volle credere a qualche carenza fallica.
- la signora sta facendo toilette. La scusi.
E qui l’anfitrione iniziò una loquela inarrestabile.
- io sono ebreo, sa. Ma diverso. La mia è una schiatta nobile … molto nobile … ineguagliabile. Non so se sa di bibbia. Leggiamo Genesi, 19, 30 e successivi: «poi Lot partì da Zoar ed andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di stare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. [L’immondo citava a memoria, con presumibili svarioni e licenze. Io, Meluccio Cavalieri di Giorgenti vado consultando gli “appunti autobiografici” di Aurelio e lì vi è solo il riferimento al passo biblico. Integro traslando da una “Marietti 1820”].
«Ora la maggiore disse alla più piccola: “il nostro padre è vecchio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi … pater noster senex est, et nullus virorum remansit in terra qui possit ingredi ad nos iuxta morem universae terrae. Vieni facciamo bere del vino a nostro padre, e poi corichiamoci con lui … Veni inebriemus eum vino, dormiamus cum eo .. (oh quel dormiamus per coitiamo, quanto pudore nella ‘vulgata’), così faremo sussistere una discendenza da nostro padre.
«Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre … dormivitque cum patre (si chiavò il padre, siamo espliciti) .. ma egli non se ne accorse (o finse) né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. All’indomani la maggiore disse alla più piccola: ‘ecco, ieri mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui.» E qui la reiterazione dell’incesto fecondo della figlia minore. Erano .. erano …. Erano vergini le due sorelle? Certamente no. Vero è che Lot, pur di salvare integro il deretano dei due angelici stranieri tentò di offrire l’imene delle due figliole ai vogliosi sodomiti. “Habeo duas filias, quae necdum cognoverunt virum”. Forse il vecchio non mentiva; i sodomiti non abboccarono, dunque sapevano … di furtive concessioni … forse di orge … non escluso il meretricio. Diversamente, dinanzi ad un virgineo banchetto (anzi duplice) come non assentire? Lot, in ogni caso, è vecchio sozzo: due avvenenti angeli valgono di più di due intatte (o credute tali) figlie. Esplodeva anche in lui l’attrazione contro natura? (Tanto non è mio padre, posso infierire.) Credo che Lot sapesse e vi speculasse .. il pretium sceleris gli faceva un comodo della madonna. ‘Pappone? A Roma, in Sicilia come si dice? Non v’è lemmo equivalente … ruffianu .. beccu … mizzanu … non rende … non rende. Curnutazzu … sì curnutazzu … può andare … po’ jiri .. Pronuncio bene il suo dialetto? …. Ah! Ah! Ah! … po’ jiri ? … simpatico … spiritoso. Dunque dicevamo: da quegli incesti proliferarono i moabiti e gli amorreniti … due popoli infami, reietti, ma veri e prischi ebrei. Diffusi per il mondo, giungono sino a noi e sono diffusi ovunque … anche in Italia .. anche in Sicilia. Già, quel popolo incuneatosi nelle più profonde latebre del tessuto sociale della Sicilia del XV secolo da dove vuole che discenda .. ma dai frutti incestuosi delle due figlie di Lot? E non è vero che Isabella di Castiglia sia riuscita a far sloggiare i figli dell’incesto dalle sue terre siciliane … sì nel 1492 appunto. Sappiamo di quel domenicano Torrecremata capace di terrorizzare la regina (il re, pare, era più laico e più propenso a preferire le trentamila auree onze di Sicilia alla postuma vendetta di un deicidio mai provato: la regina condivise col domenicano le somiglianze esecrande tra i trenta denari del tradimento di Giuda e le trentamila onze dello scellerato patto con i deicidi di Sicilia.) Ascolti il suo paesano Giuseppe Picone (Lio ne ignorava allora l’esistenza, davvero, seppe poi che il Picone era quasi un suo compaesano, di Racalmuto appunto, nota mia): «.. stanchi gli ebrei del modo onde i regi ufficiali incrudelivano sovr’essi, partirono a trent’uno dicembre del 1492, lasciando ai nostri avi i proclami di Carlo II e Carlo V, onde gli ebrei venivano richiamati in Sicilia. La nostra terra inospitale fu esacrata non solo dagli ebrei, che si sparsero in altre regioni, ma bensì da qualunque nazione commerciante. Essi partivano, e il nostro popolo ne fece baldoria, e vittima dei falsati principi, propagati da un governo ignorante ed ingordo, e da preti non meno ingordi e fanatici, ne tripudiò … ma ne pianse in seguito del pianto della miseria che gli sopravvenne.» E qui però il Picone erra, almeno in parte. Non tutti gli ebrei trasmigrarono (a Napoli, pare): solo quelli ricchi, abbienti … gli altri si mimetizzarono, presero nomi locali, banali … la licata … la matina (Lio arrossì, si guardò però bene dal denunciare il suo cognome … ebreo secondo il Corrotto) … parisi … lintini …Guardi … guardi negli archivi parrocchiali e dovrà convenire con me.
Fu a questo punto che apparve finalmente la signora. Un miraggio, un incanto. Cerulea negli occhi, sciolti i capelli lunghi, in profluvio biondo sino al sorgere delle arcate in delicato modularsi nel retro del corpo minuscolo diafano angelico eppure ammiccante vivido sinuoso. In tulle di color purpureo, trasparentissimo per mostrare le carni del desiderio e la mise della lussuria. In pizzo i generosi involucri dei seni composti e compatti, senza osceni debordi. Invitante la guêpière; le calze fiorate cessavano sopra il ginocchio fissate da guigge a festoni di color citrino. Laggiù, invero, v’era contrasto con le coperture dell’alto: quasi le ambiguità delle Pornokrates di Ferdinand Rops. Malizia e sberleffo: l’angelo scendeva nel bordello. Il tocco del dottor Ba’alzebub evidente, perfido.
- Ofelia …, il Corrotto esigeva risposta,
- Lio.
- Già Lio, che strano nome per un siciliano. Diminutivo di che?
- Cornelio.
- Notevole … notevole. Ma il suo nome non lo svelò.
Ofelia andò compassata a sedersi a fianco di Cornelio. Lasciò divaricare i lembi della veste. Bianchissimo il modularsi delle cosce. Per il momento impenetrabile alla vista il configurarsi del sesso.
- Dicevamo .. dicevamo. Sì, voi siciliani non siete arabi, non siete normanni, non siete spagnoli, né greci né tampoco romani. Solo in minuscola parte. Sostanzialmente siete i figli delle incestuose figlie di Lot. Lei no, Lio. Lei .. vediamo … lei, ma è evidente lei è berbero. Ricciuto, rinsecchito, elettrico, sopra la media, lungo collo ma testa oblunga. E lì, lì in basso … lo vedremo dopo. Non ci avrà ingannato proclamandosi “superdotato”. E’ circonciso .. no, è vero? Diversamente con un glande scappucciatissimo chissà a quali lunghezze perverremmo? Sbaglio? Ofelia è gracile di costituzione e certe lunghezze non le recepisce. Le danno dolore. Si rifiuta. Capisce? Ma i cosi troppo piccoli non sono … fallici. Leda ed il cigno … va bene, ma con il pene adatto al coito sadico-anale.
Sarà stato per quel linguaggio, sarà stato per l’effluvio erotico che veniva dall’abbordabile Ofelia, Crnelio cominciò qui ad eccitarsi. Mirò la partner. Le toccò il ginocchio. Salì sopra la guiggia. La pelle fresca, liscia e linda dava sensi di ebbrezza. Salì ancora. Ofelia, impassibile. Ma il dottor Ba’alzebub dette segni di nervosismo. ‘Strano’, si disse Cornelio e proseguì sino a sostare sulla copertura del sesso. Ofelia, impassibile. ‘Fantasmatica’, pensò Cornelio venendogli alla mente un termine letto nei testi della psicanalisi che in quel tempo lo appassionavano.
- Ofelia ebrea non è. Come del resto potrebbe esserlo, così eterea, così cerulea, tanto … immacolata? E disse quel termine con tono indecifrabile.
- Io, sì … ma non sono figlio di quelle putride figlie? Non mi vede … non c’è compatibilità … Io sono figlio … Ma che fa?
Proprio in quel momento, il collega ispettore eccitatissimo aveva portato la mano di lei sul suo sesso gonfio sotto la patta. Il dottor Ba’alzebub si alzò di scatto e andò a mollargli un gran ceffone sulla guancia. Lo schiaffeggiato, confuso, smarrito ed anche indolenzito, farfugliò:
- mi scusi dottore .. io non volevo ..
- non volevo un corno. Non permetto a chicchesia che si manchi di rispetto a mia moglie.
Cornelio, allora, fece segno di alzarsi per andarsene.
- ma dove cazzo va? Stia lì. Ogni cosa a suo tempo, ogni cosa a suo tempo.
Cornelio ubbidì, mansueto e basito.
- Eppure sono figlio della mogile di Lot. – riprese il dottor Ba’alzebub col tono di prima, stralunato ma serafico. – Sì. Ha capito bene ….Quella della Genesi … Duo angeli advenientes in domum Lot … Surge , tolle uxorem tuam. Ed era bellissima la moglie di Lot … matura ma splendida nei suoi trentacinque anni …. Anche Ofelia ha trentacinque anni … Bruttissimo, lui … vecchio, cadente e cornutazzo … Seconda, terza, quarta moglie … non so. Brutalizzata appena quindicenne partorì la prima delle figlie … poi la seconda … poi il sesso bandito … lui impotente, non capace più di erezione alcuna. I due angeli l’abbagliarono. Erano angeli ma non serafini, anzi rigonfi di maschi attributi … Si insinuò tra loro nella notte successiva all’accecamento repressivo … et eos qui foris erant, percuserunt caecitate a minimo usque ad maximum, ita ut in ostium invenire non possent ... Ebbe eccitazione forte la moglie di Lot mirando le depravate voglie dei sodomiti … ebbe appagamento memorabile tra i due angelici maschi … davanti e dietro … e poi dietro e davanti, scambiandosi gli angeli le fenditure del piacere della moglie di Lot. Da chi fui generato, se dal seme del primo o da quello del secondo, non so. Non mi è stato rivelato quella notte sul Tabor … Non ero ancora sposato. Sopra la collina di Yizre’el, la notte d’agosto, quando stelle a frotte solcavano il cielo sopra le rovine avvolte di vegetazione, nella parte della cima ellittica, spentosi lo scenario dello splendido panorama dei monti di Nazareth, resistente ancora ad ovest dopo ore dal calar del sole, nudo, crocifisso sulla nuda terra, il mio sesso ebbe ad innalzarsi sino a vette mai raggiunte prima. Mi apparve l’angelo, sì l’angelo mio padre … e tutto mi disse, tutto mi svelò … Non credete, scettici … Non credete! …Ma io so la verità. Ego sum veritas… Dopo, per non procreare più altri mirabili angeli, avendo in me ormai l’irrefutabile verità, il mio sesso scomparve … si prosciugò … neppure i testicoli resistettero … solo una enfiatura per la minzione … e sotto un prurito, simile forse al desiderio, inappagabile.
S’immalinconì il dottor Ba’alzebub. Sospeso nei suoi pensieri o ricordi, entrò come in trance. Ofelia, impassibile. Quindi il sussulto, il ritorno all’empio recitare … Una sigaretta accesa … d’odore strano … un’altra passata ad Ofelia.
- a lei no, vero? Lei non fuma marijuana.
Lio, in effetti, all’epoca ne sconosceva persino l’esistenza. Il tempo dello “spinello” era ancora di là da venire.
Anche Ofelia sembrò rianimarsi. Brividi quasi impercettibili, specie là vicino. Lui si alzò.
- ed ora all’opera. Vada in bagno, si mondi, si unguenti … e poi nudo in camera da letto. Ecco che gliela mostro.
Il dottor Ba’alzebub acquisì come d’incanto toni imperiosi cui non si poteva sottrarsi. Lio ubbidì remissivo e fu remissivo anche dopo per tutta la serata, per quasi un paio d’ore. Veniva addirittura plagiato da un eunuco.
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