Una soave affabie signora romana, affascinante più del sole che sorge nella mia nnatia Racalmuto da dierìtro il Castelluccio, quando è esate, sia ure indirettamente mi vuol disorentare dalle mie anguste, pedestri, ironiche vsine delle opere dell'arte propinandomo questo particolare berniniano.
Credo che alle donne che non possono vedersi i certe loro declivi dei terminali singultlti d'amore Il Berini può far loro pensare che abbiamo una santa, ce digiuna, che gli affanni di un corpo giovane sono stati mortificati e libera degi artigli della carne salgono sino ai cieli e vedono e dantescamente si immergono nelle paradisiache luminarie della suprema potestà divina. Estasi di santa,duqe, estasi di Santa Teresa d'Avila. Per i tanti incolt come propino qui sotto anch'iola cultura in pillole delle ecnciploedie virtuali (ma poco virtuoe).
Ma ad u maschio come m, aduso a considerar peccato le gioe del sesso sin dai suoi 12 anni e mezzo. ma un peccato di cui non ha mai potuto fare a meno e piano pianoha dissmesso di pensare che godendo su questo terra puo davvero finire all'inferno perché offenderebbe de sxto t de nono quel suo padre celeste che, via, è stato ipoi lui amettergli quel piacevole fuoco nelle vene ce dal gioco solitario piano piano ma sempre più piacevolmente e prtecipativamente l'ha potuto nfondere ad un'altra creatura del signore, molto pù bella ma nmeno irosa nelle gioe d'amore. E davvero quello sguardo, quella bocca languidmente socciusa l'ha affascinato per essere anche lui il coautore il coautore di un orgasmo femminle. E se non se n'è più confessato come del resto non faceva neppure con i supi primi e solitari atti impuri, anche se il prete onfessore birichino vole sapre, curiosava.
Ma qui la santa è vestita, e le donne nei giacigli del peccato per arrivare lì dove in due ci si arriva con un insaziabile cimento erano ignude e a dir vero dnon del tutto mone (per parafrasare D'Annunzio del Piacere). E allora chissà forse le sante voglioo godre sole e vestite. VERGINE SERAFICA. Vergine chi - per giunta con sangue ispano -
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Teresa d'Ávila
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Santa
Teresa d'Ávila
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Santa
Teresa di Gesù in un dipinto di Pieter Paul Rubens
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Vergine e dottore della Chiesa
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Nascita
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Morte
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Venerato da
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Chiesa
cattolica
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Santuario principale
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Basilica
di Santa Teresa, Alba de Tormes
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Ricorrenza
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Attributi
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abito
delle Carmelitane Scalze, cuore trafitto
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Patrono di
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scrittori,
persone malate nel corpo, cordai, orfani, persone in cerca di grazia, persone
degli ordini religiosi, persone ridicolizzate per la loro pietà [senza fonte] , Croazia, Spagna
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Teresa di
Gesù, o d'Ávila,
al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (Ávila, 28 marzo 1515 – Alba
de Tormes, 15 ottobre 1582), è stata una religiosa e mistica spagnola.
Entrata nel
Carmelo di Avila a vent'anni, fuggita di casa, dopo un travagliato percorso
interiore che la condusse a quella che definì in seguito la sua
"conversione" (a trentanove anni), divenne una delle figure più
importanti della Riforma cattolica grazie alla sua attività di
scrittrice e riformatrice delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi, e grazie alla fondazione di
monasteri in diversi luoghi di Spagna, e anche oltre (prima della sua morte
venne fondato un monastero di Scalzi a Lisbona). Morì ad
Alba
de Tormes nel 1582 durante uno dei suoi viaggi.
Fu autrice
di diversi testi nei quali presenta la sua dottrina mistico-spirituale e i
fondamenti e le origini del suo ideale di Riforma dell'Ordine carmelitano. La
sua opera maggiormente celebre è "Il castello interiore" (intitolato anche
"Mansioni"), itinerario dell'anima alla ricerca di Dio attraverso
sette particolari passaggi di elevazione, affiancata dal "Cammino di
perfezione", e dalle "Fondazioni" nonché da molte massime,
poesie e preghiere, alcune delle quali particolarmente celebri[1].
Proclamata
beata nel 1610 e poi santa
da papa Gregorio XV nel 1622, fu annoverata tra
i dottori della Chiesa nel 1970 da Paolo VI,
insieme a Caterina da Siena.
Indice
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6 Opere
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7 Note
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Teresa de
Ahumada nacque il 28 marzo 1515, terzogenita di Alfonso Sanchez de Cepeda e di Beatrice de
Ahumada.
Il padre, di
origine toledana e di stirpe ebrea, s'era unito in prime nozze con Caterina del
Peso (morta l'8 settembre 1507), figlia d'una nobile famiglia d'Avila, dalla quale erano
nati due figli, Giovanni Vazquez de Cepeda e Maria de Cepeda[2].
Dopo la morte di Caterina, Alfonso si unì in seconde nozze con Beatrice de
Ahumada, dalla quale nacquero altri nove figli: Fernando Ahumada, Rodrigo de
Cepeda, Teresa de Ahumada, Lorenzo de Cepeda, Antonio de Ahumada, Pietro de
Ahumada, Gerolamo de Cepeda, Agostino de Ahumada e Giovanna de Ahumada.
La famiglia
s'era stabilita dal 1505 nell'ex palazzo della Zecca cittadina, vicino la porta
di Monte Negro, per tal motivo denominato de la Moneda. Pochi gli episodi
conosciuti sull'infanzia della piccola Teresa. Fra di essi è noto il tentativo
di fuga intrapreso col fratello Rodrigo verso un immaginario paese dei mori,
dove i due bambini, pensando alle vicende dei martiri, speravano di versare il
sangue per la fede[3].
La vita familiare è descritta dalla stessa Teresa, nella sua Autobiografia, a
brevi pennellate: “Mio padre era uomo di grande carità coi poveri e pieno di
compassione per i malati”[4];
“mia madre era molto virtuosa; si comportò dappertutto con grandissima onestà.
Era molto bella, ma non si vide mai che facesse caso della sua bellezza. Era
mite, di grande intelligenza”[5].
E, ricorda ancora Teresa, era anche appassionata di romanzi cavallereschi[6],
passione rimproverata dal marito, il quale proibì ai figli di leggerne.
Gli anni
dell'adolescenza furono trascorsi dalla giovane Teresa in compagnia dei
numerosi fratelli e dei cugini della casa attigua, i de Cepeda: Pietro,
Francesco, Giovanni, Diego, Vincenzo, Ines, Anna e Geronima. Per uno di essi,
sembra, provasse anche un forte sentimento d'affetto che il confessore
consigliò di coltivare in preparazione a un futuro fidanzamento[7].
Severo resta il suo giudizio nei confronti d'una delle cugine, rimasta anonima,
per la sua vanità nel vestirsi e nell'abbigliarsi ricordando in seguito,
rimproverandosene, come anche lei aveva preso parte a queste perdite di tempo[8].
Dopo il primo grave lutto, la morte del fratello maggiore Giovanni in battaglia
nel 1524, seguì la
perdita della madre Beatrice, già da tempo sofferente, tra il 1529 e il 1530[9].
Subito dopo la
giovane venne mandata dal padre per completare la sua educazione presso il
monastero delle agostiniane di Nostra Signora delle Grazie ad
Avila, dove entrò dopo il matrimonio della sorella Maria con don Martino Guzman
y Barrientos, a Villatoro nel 1531[10].
Lì fu per la giovane Teresa parecchio influente la figura delle maestra delle
educande Maria Briceno che con i suoi insegnamenti e i suoi discorsi condusse
la fanciulla alla prima vera crisi esistenziale: “Avevo tanta paura che mi
venisse la vocazione religiosa- ella stessa scrisse- ma nel medesimo tempo
sentivo una gran paura anche per lo stato matrimoniale”[11].
Monastero dell'Incarnazione di Avila
Una grave
malattia costrinse, nel 1532,
Teresa a tornare alla casa paterna. Per potersi ristabilire, ancora degente, si
trasferì per un soggiorno campagnolo presso la sorella Maria a Castellanos de
la Canada. Durante il viaggio ebbe un nuovo incontro con lo zio paterno Pietro
Sanchez de Cepeda, che dopo la morte della moglie s'era ritirato a vita
solitaria, il quale offrì alla giovane diversi libri di spiritualità.
Tornata dal
Castellanos, Teresa si dedicò alla vita di famiglia, dirigendo la casa paterna
per tre anni, durante i quali anche il fratello Rodrigo, a cui ella era molto
affezionata, intraprese un viaggio oltreoceano verso le nuove colonie spagnole
in America, dove
cadde in battaglia nel Cile
contro gli Araucani[12].
L'agosto e l'ottobre del 1536 furono per Teresa il tempo della cosiddetta “grande crisi”[13],
durante la quale ella prese la ferma decisione di entrare in monastero presso
le carmelitane dell'Incarnazione di Avila.
La risposta
del padre, Alfonso, fu quanto mai severa: egli non avrebbe mai accettato
l'ingresso della figlia in convento, “il più che si poté ottenere- scrive la
stessa Teresa- fu il permesso di fare quello che avrei voluto, dopo la sua
morte”[14].
Dopo alterni tentativi e interventi di familiari e amici, la giovane, ancora
fermamente risoluta, decise di fuggire dalla casa paterna insieme al fratello
Antonio, appena quindicenne. I due, allontanatisi insieme, si separarono alle
porte del convento delle carmelitane dove la giovane fu accolta dalle monache,
con le quali aveva preso accordi precisi nei giorni precedenti. Diversamente
avvenne per Antonio: respinto dai domenicani, dei quali desiderava far
parte, e dai frati
di San Gerolamo, a causa di una grave malattia, decise di partire anche lui
per le Americhe dove morì, nella battaglia di Quito, sui monti
dell'Ecuador[15].
Subito dopo
l'ingresso di Teresa, rassegnato il padre Alfonso entrò in trattative con le
monache del monastero per stabilire la dote della figlia: venticinque moggi di
pane, per metà grano e per metà orzo nonché duecento ducati d'oro[16].
Ad essi il ricco genitore avrebbe ancora aggiunto il prezioso corredo.
Nell'autunno del 1536
ebbe così luogo la cerimonia dell'ammissione al noviziato
dove la giovane, circondata dalle monache in capitolo, fu accolta dalla madre
priora Francesca del Aguila. Il 2 novembre
dello stesso anno fu invece celebrata la solenne vestizione
durante la quale Teresa assunse il tipico abito delle monache carmelitane.
Cominciava per lei l'anno di noviziato come ella stessa racconta in vari brani
della sua Autobiografia, con il quale si preparava alla professione, che ebbe
finalmente luogo il 3 novembre 1537, dopo un lungo periodo di travaglio intimo, da lei stessa
paragonato a quella che aveva già dovuto vincere per abbandonare la casa
paterna[17].
Non passò
lungo tempo che la giovane monaca fu colta da un grave disturbo fisico: “Gli
svenimenti aumentarono e mi si aggiunse un mal di cuore così violento che tutti
coloro che mi sostenevano ne rimanevano spaventati”[18].
Il padre, preoccupato, si vide costretto a condurre via per un certo tempo dal
monastero la figlia, le cure ebbero subito inizio nella casa paterna ma i
disturbi non diminuirono e don Alfonso si risolse a recarsi a Becedas presso
una rudimentale curatrice locale. Lungo il tragitto, durante una sosta presso
lo zio Pietro Sanchez a Hortigosa, Teresa ricevette in dono il Tercer
Abecedario di Francesco de Osuna, un trattato sull'orazione, che molto avrebbe influito
sulla spiritualità della giovane monaca[19].
Le cure ricevute a Becedas non fecero altro che peggiorare la salute di Teresa,
la quale, dopo due mesi, fu ridotta in fin di vita e ricondotta ad Avila dove i
medici, all'unanimità, giudicarono il caso come disperato.
Non
passarono giorni che la monaca, sfinita dai dolori, sembrò essere davvero
morta. Le consorelle in monastero giunsero perfino a scavarle il sepolcro
mentre uno dei familiari fece cadere sulle sue palpebre un po' di cera per
vederne le reazioni. Solo don Alfonso insistette perché non si provedesse ai
preparativi funebri[20]
e, come questi aveva pensato, dopo quattro giorni l'agonizzante rinvenne,
svilita da atroci sofferenze (debolezza per non aver mangiato nulla, gola
riarsa, mal di testa, irrigidimento delle membra[21])
ma viva. Alla fine di maggio del 1539 fece ritorno al monastero e si stabilì all'infermeria, non
essendo ancora in grado di riprendere l'usuale vita in cella. Ci vollero
all'incirca tre anni perché il suo stato di salute migliorasse.
Diversi
furono i tentativi di spiegare questa terribile malattia: chi ipotizzò un caso
d'isterismo (Jean-Martin Charcot, Hahn[22]),
chi una gastrite
acuta (P. L. De San[23]),
chi la quartana doppia (Imbert Courbeire, Gabriela Chunningame
Graham[24])
e chi infine vide in essa il frutto delle rigorose penitenze[25].
A causa del
lungo periodo di degenza, Teresa si trovò frattanto piuttosto libera dagli
orari della vita claustrale e poté così sviluppare intensi rapporti con
esterni, compreso il padre Alfonso, cominciando a intessere una rete di
amicizie che molto le sarebbero servite successivamente durante la sua attività
di riformatrice. Viene descritta, da coloro che la conobbero, come una donna
signorile e nello stesso tempo semplice e brillante, gradevole “nel tratto e
nella conversazione, accesa d'amor divino e soave nelle parole”[26];
così che ben presto il parlatorio divenne luogo di incontro per gli avilesi
desiderosi di conoscere e parlare con Teresa.
Francesco Borgia
Col passare
dei giorni la religiosa cominciò però a ritenere quegli incontri, nonostante
fosse parecchio attaccata ad essi, una vera e propria perdita di tempo, a causa
dei quali ella perdeva i momenti da dedicare alla preghiera[27].
In quello stesso periodo Teresa tornò alla casa paterna per assistere il padre
agonizzante, che morì il 24 dicembre 1543, dopo due settimane di intense sofferenze[28].
Tra il 1554 e il 1555 avvenne il
significativo episodio che avrebbe condotto la religiosa al ribaltamento della
propria vita: “I miei occhi caddero sopra una immagine che era stata posta
lì, in attesa della solennità che doveva farsi in monastero. Raffigurava Nostro
Signore coperto di piaghe. Appena la guardai mi sentii tutta commossa, perché
rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi: fu così grande il
dolore che provai al pensiero dell'ingratitudine con la quale rispondevo al suo
amore, che mi parve il cuore mi si spezzasse. Mi gettai ai suoi piedi tutta in
lacrime, e lo supplicai a darmi forza per non offenderlo più”[29].
Fu quella che lei stessa definisce come la sua seconda conversione, a seguito
della quale cominciò nuovamente a dedicarsi all'intensa orazione e a ridurre i
passatempi, particolarmente significativa fu per lei la lettura delle Confessioni
di sant'Agostino[30].
Cominciava
un lungo periodo di intensa vita spirituale, durante il quale la religiosa fece
le esperienze in seguito descritte nei suoi libri, ma che condusse ad un
altrettanto lungo periodo di sofferenze e persecuzioni: in seguito al
drammatico caso della clarissa Maddalena della Croce, ritenuta dagli stessi
sovrani spagnoli una santa, ma successivamente riconosciuta come una folle
posseduta, s'era diffuso un certo turbamento nei confronti di queste anime
dedite alla spiritualità come Teresa. Gaspar Daza, suo confessore, e Francesco
De Salcedo, suo intimo confidente, la ritennero ben presto vittima di illusioni
demoniache, accusa per la quale la religiosa soffrì amaramente[31].
Fondamentale fu per lei la direzione dei padri gesuiti, Diego de Cetina in particolare
(che si recò da lei tra il 1555 e il 1556), che ristabilirono alquanto la drammatica situazione in
cui ella era occorsa, si ricordi a tal proposito l'incontro nel 1557 col futuro santo,
il gesuita Francesco Borgia, un tempo potente ministro di Carlo V, il
quale le ridonò fiducia e la incoraggiò a continuare il suo cammino spirituale.
Ci fu anche una corrispondenza epistolare tra i due sebbene queste lettere
andarono perdute[32].
Fino al 1558 Teresa
poté intessere continui rapporti con confessori gesuiti, come Giovanni de
Pradanos (che sostituì Diego de Cetina trasferito da Avila), essendo per lungo
tempo ospite in casa della ricca vedova Jeronima Guiomar de Ulloa, con la quale
ella strinse una forte amicizia.
Dopo la
partenza del confessore Giovanni de Pradanos, Teresa cominciò a farsi seguire
spiritualmente da un sacerdote appena ordinato, il gesuita Baltasar Alvarez, il
quale, intimorito e dalla questione suddetta della posseduta Maddalena della
Croce e della straordinaria esperienza interiore della figlia spirituale,
decise di consigliarsi sul suo caso in una riunione di circa cinque o sei
uomini dotti, tra ecclesiastici e laici, fra cui possiamo ricordare il
confidente della santa, Francesco de Salcedo, e il suo precedente confessore,
Gaspar Daza. Unanime il verdetto: Teresa era vittima di possessione diabolica.
“Io ero estremamente paurosa- scrisse ella stessa ricordando quei
dolorosi avvenimenti- tanto che alle volte non osavo star sola in una stanza
neppure in pieno giorno: il mal di cuore a cui andavo soggetta aumentava per di
più i miei timori. Vedendo dunque, che tante persone affermavano ciò che io non
sapevo ammettere, fui presa da gravissimi scrupoli, temendo che da parte mia ci
fosse poca umiltà. Quelle persone infatti erano dotte e di vita
incomparabilmente più santa della mia: perché non avrei dovuto credere alle
loro parole?”[33].
Fu per lei uno dei periodi di maggior tribolazione: le venne proibita la
comunione e perfino la solitudine, si pensò di esorcizzarla.
Nel 1560 fu l'intervento
del frate Pietro d'Alcantara a dissipare i dubbi della
religiosa e quelli dei suoi accusatori. I due ebbero il loro primo incontro in
casa di Jeronima de Ulloa[34],
Teresa confidò al francescano tutto il proprio dolore e l'intensa sua vita
spirituale, e questi non solo la tranquilizzò ma le diede perfino preziosi
consigli, avendo egli stesso attraversato simili momenti “mi trattò con
molto riguardo mettendomi a parte dei suoi pensieri e dei suoi progetti, e
vedendo che il Signore m'infondeva dei pensieri tanto coraggiosi di fare
anch'io come egli faceva, s'intratteneva con me con visibile soddisfazione”[35].
Dall'incontro con l'ascetico francescano sorse pian piano in Teresa quel
progetto di Riforma dell'ordine carmelitano che l'avrebbe resa famosa in tutto
il mondo.
Sorto sul monte
Carmelo, dove alcuni eremiti si erano ritirati in piccoli monasteri, il
primo nucleo dell'ordine era stato regolamentato da Alberto, patriarca di Gerusalemme,
verso il 1209. Fu
nel 1432,
precisamente il 15 febbraio, che Eugenio IV,
attraverso la “bolla di mitigazione”, modificò attraverso diverse
concessioni l'austerità della regola originale dei primi monaci del Carmelo.
Ora Teresa avrebbe progettato di ricondurre l'ordine alle sue origini: fu una
sera nella sua stessa cella che, in compagnia di Giovanna Suarez, amica
d'infanzia, e altre quattro compagne, che sorse l'intuizione di questa futura
riforma del Carmelo[36].
Questo desiderio, fattosi ogni giorno sempre più vivo in lei,[37].
condusse la religiosa a chiedere il parere di Pietro d'Alcantara, che in quel
tempo similmente era dedito alla riforma dell'ordine francescano in Spagna. Il
suo parere fu positivo e il consenso del padre provinciale, Gregorio Fernandez,
permise così a Teresa di dare il via ai lavori della fondazione del primo
monastero riformato, proprio nella sua città di Avila.
Il monastero di San Giuseppe oggi
“Appena
in città cominciarono a conoscere il nostro disegno scrosciò su noi una
persecuzione così violenta che sarebbe troppo lungo raccontarla”[38].
La città si schierò decisamente contro questo nuovo progetto di riforma, senza
considerare le ostilità che si fecero giorno dopo giorno sempre più intense
all'interno dello stesso monastero dell'Incarnazione. Dalla parte di Teresa si
schierò però, dopo un lungo periodo di riflessione, il domenicano Pietro
Ibanez, uno dei più insigni teologi dell'epoca, le cui risposte in difesa della
Riforma costrinsero a tacere gran parte dei suoi avversari. Cuore del progetto
era un'innovazione che influenzò parecchio il giudizio dei contemporanei: le
nuove monache avrebbero vissuto semplicemente di elemosine. Ciò turbò lo stesso
provinciale, Gregorio Fernandez, inizialmente propenso a quest'opera di
rinnovamento.
Trascorsero
all'incirca sei mesi nella continua incertezza finché Teresa non decise di
fondare il suo primo monastero in segreto. In accordo con la sorella Giovanna e
suo marito Giovanni de Ovalle acquistò una casa ad Avila e cominciò,
segretamente, la trasformazione dell'edificio. Le prove nello stesso tempo non
si alleggerivano e una sera nella chiesa di San Tommaso,
come raccontano Giovanni de Ovalle e sua figlia Beatrice[39],
il predicatore puntò il dito contro la religiosa lì presente, dinanzi a gran
parte della cittadinanza, tacciandola di vanità e orgoglio. I lavori
continuavano ma un fatto imprevisto avrebbe allontanato Teresa: donna Luisa de
la Cerda, ricca signora di Toledo, chiedeva la compagnia della religiosa perché la
consolasse della recente morte del marito don Antonio Arias de Saavedra.
La notte di Natale il
provinciale Angelo de Salazar ordinò a Teresa di raggiungerla[40].
Le due donne strinsero un forte legame d'amicizia e lì a Toledo, Teresa ebbe
modo di conoscere Maria di Gesù, terziaria, la quale progettava come lei una
riforma dei costumi religiosi, “era donna di grande penitenza ed orazione.
Era talmente superiore a me nel servizio di Dio, che davanti a lei mi sentivo
piena di vergogna”[41].
Di ritorno
ad Avila, giunsero i dispacci col breve pontificio di autorizzazione a fondare
il monastero, posto sotto l'obbedienza del vescovo di Avila, Alvaro de Mendoza.
I lavori furono così ben presto conclusi e al pian terreno sorse così una
piccola cappella con due porte (sormontate una da un'immagine della Vergine
Maria, l'altra di San Giuseppe) e una grata doppia che permetteva alle
monache di partecipare alla Messa. Il 24 agosto 1562 furono aperte per
la prima volta le porte del conventino dove Gaspar Daza accolse e diede l'abito
alle prime quattro carmelitane “scalze”: Antonia de
Henao, Maria de la Paz, Ursula de Revilla y Alvarez, Maria de Avila[42].
Non
trascorsero neppure sei ore che una lettera annunciò a Teresa la triste verità:
la priora del Monastero dell'Incarnazione ordinava il suo repentino ritorno.
Tornata in convento, Teresa si rese ben presto conto che la sua idea di
riformare il Carmelo non era certo stata accolta di buon grado dalle
consorelle, alcune delle quali avevano formato un vero e proprio gruppo di
dissidenti. Dopo un primo colloquio dai risvolti positivi con la priora, Maria
Cimbròn, Teresa fu sottoposta a una vera e propria sessione di tribunale
monastico[43],
in presenza del padre Angelo de Salazar, padre provinciale dei carmelitani,
della priora e delle anziane del convento. I risultati furono incoraggianti per
la religiosa, la quale non solo non fu punita ma convinse perfino il sacerdote
sulla sincerità delle proprie intenzioni.
Ma i
problemi non erano ancora terminati: la stessa città di Avila si schierò
apertamente contro la nuova fondazione. Il 25 agosto il
governatore, Garcia Suarez de Carvajal, si recò personalmente al monastero con
uno squadrone di soldati ordinando alle quattro monache lì presenti di
abbandonare immediatamente l'edificio. Vanificato questo primo tentativo, i
maggiorenti della città tennero un'assemblea plenaria il 30 agosto
seguente e fu solo per intervento del domenicano Domenico Banez, celebre
teologo dell'epoca, che non si passò direttamente all'azione. Nel febbraio 1563 le controversie
cominciarono lentamente a placarsi e Teresa ottenne dal padre provinciale il
permesso di trasferirsi al monastero di San Giuseppe.
Fino al 1567 ella poté così
dedicarsi interamente alla sua opera, scrivendone le costituzioni: secondo la
nuova regola la giornata cominciava in coro, alle cinque nell'estate e alle sei
nell'inverno e si prolungava fino alle undici di sera; dopo una prima ora di
preghiera in coro vi era la recita dell'ufficio, seguiva la refezione alle
dieci, alle due i vespri, alle sei la compieta, quindi le monache si ritiravano
nella propria cella per pregare o lavorare[44].
In quegli anni ella concluse, verso il 1565, la redazione
della propria Autobiografia e poco dopo il Cammino di perfezione,
libro di formazione spirituale per le proprie consorelle. Nel 1567 la visita
del generale dell'ordine carmelitano, Giovanni Battista Rossi di Ravenna, aprì un
nuovo capitolo nella vita di Teresa e nello sviluppo della Riforma: le veniva
concessa la facoltà di fondare altri monasteri di scalze nella provincia di
Castiglia[45].
Giovanni della Croce
Con l'aiuto
dei padri gesuiti, particolarmente del padre Baltasar Alvarez, un tempo suo
confessore, ella riuscì a ottenere i permessi del vescovo di Salamanca,
alla cui diocesi apparteneva Medina
del Campo, e così fondare un primo monastero riformato il 15 agosto.
Furono destinate ad esso sei monache: Isabella Arias, Teresa de Quesada, Ines
Tapia, Anna de Tapia dal monastero dell'Incarnazione e Maria Battista e Anna de
los Angeles da quello di San Giuseppe[46].
Dopo un viaggio sui carretti, nei quali la vita monastica era rispettata coi
suoi orari e i suoi momenti di preghiera, durante una sosta ad Arévalo,
cominciarono i primi guai: Alfonso Alvarez, il quale aveva pattuito l'affitto
della casa per la imminente fondazione, ritirava all'improvviso la proposta.
Due giorni prima della data stabilita per la fondazione giunse finalmente la
soluzione: donna Maria Suarez offriva uno dei suoi caseggiati.
Giunte lì a
tarda notte, dopo un chiassoso ingresso in città in mezzo a una folla accorsa
per assistere all'arrivo dei tori per la corrida dell'indomani[47],
Teresa e le sue monache raggiunsero finalmente la piccola casa che, in una sola
notte di lavori, si tramutò in un vero e proprio monastero cosicché la mattina
seguente fu possibile celebrarvi Messa. Solo successivamente, a causa del grado
fatiscente del caseggiato, fu necessario il trasferimento in un nuovo edificio,
alla Plaza Mayor, per donazione del mercante Blas de Medina.
Fu lì che la
Riforma carmelitana si estese anche al ramo maschile: durante un colloquio col
priore dei carmelitani calzati di Medina, padre Antonio de Heredia, sorse in
entrambi questo desiderio[48].
Padre Antonio stesso e un giovane carmelitano, studente all'Università di
Salamanca, Giovanni di San Mattia (colui che successivamente avrebbe assunto il
celebre nome di Giovanni della Croce) sarebbero stati i primi carmelitani scalzi.
Ospite a Madrid di donna
Leonor de Mascarenas, educatrice del re Filippo II e successivamente del figlio di
questi Carlos,
Teresa divenne nota e stimata a corte dallo stesso sovrano e dalla sorella
Giovanna e su incarico della nobildonna s'impegnò a risistemare lo stato
interno del monastero dalla stessa fondato, a opera della terziaria Maria di
Gesù (già conosciuta da Teresa), de la Purisima Concepcion de la Imagen.
Qualche mese
dopo eccola intenta a due nuove fondazioni di scalze, a Malagón,
dove stese il contratto con donna Luisa de la Cerda, donatrice del monastero[49],
il 30 maggio
1568, e a Rio de
Olmos, con l'aiuto di Maria e Bernardino de Mendoza, fratelli del vescovo di
Avila, il 3
febbraio 1569.
Nello stesso
periodo cominciarono a sorgere anche i primi eremi di carmelitani scalzi, a
opera di Antonio di Gesù e Giovanni della Croce, a Duruelo[50]
il 17
novembre 1568, e
a Mancera, in una cappella che custodiva un'antica
immagine della Vergine Maria[51],
l'11 giugno
1570.
Nel 1569
ecco giungere una nuova proposta: il mercante Martino Ramirez chiedeva la
fondazione d'un monastero di scalze a Toledo. Prima di
morire fece suoi esecutori testamentari il fratello Alfonso e il genero di lui
Diego Ortiz con l'incarico di lasciare tutto il suo ingente patrimonio al
Carmelo riformato. Ma proprio costoro sembravano impedire l'opera prolungando a
loro favore le trattative con Teresa[52],
giunta a Toledo il 24 marzo, ma non solo: anche l'amministratore apostolico
Gomez Tello Giron, succeduto al precedente arcivescovo Bartolomeo Carranza,
morto sotto accusa di eresia, negava ogni permesso di fondazione.
Teresa si
vide dunque costretta a chiedere udienza al vescovo e a spiegare personalmente
le proprie ragioni. Convinto della sua buona fede[53]
questi le diede la necessaria approvazione, con molta difficoltà venne trovata
la casa e risistemata perché fosse un degno monastero. Ma i problemi non erano
ancora terminati: in assenza del vescovo Giron, il consiglio ecclesiastico
della città intimò alla fondatrice di non far celebrare Messa, pena la
scomunica. “Si riuscì a calmarli- ricorda la stessa- perché la cosa era già
fatta, altrimenti, chissà quanti guai avremmo avuto?”[54].
Infine la
fondazione poté concludersi serenamente e lo stesso Alfonso, fratello del
defunto Martino Ramirez, si prodigò perché alle monache non mancasse nulla del
necessario, sua figlia Francesca ottenne il patronato sulla cappella maggiore
perché fosse consentita la traslazione in chiesa della salma del defunto
benefattore[55].
Il 28 maggio 1569 ecco giungere un
nuovo invito: la principessa d'Eboli, Anna de Mendoza y la Cerda, moglie di Ruy
Gomez, influentissimo ministro alla corte reale, principe di Eboli, duca di Estremera e Pastrana nonché ministro delle finanze,
desiderava una fondazione di scalze nel proprio feudo[56].
Dopo un primo periodo di titubanza, data l'influenza del principe presso il re,
consigliata dal suo stesso direttore spirituale, Teresa decise di partire.
Durante il
tragitto, in visita a Madrid presso donna Leonora de Mascarenas conobbe
l'eremita Mariano de Azaro, italiano di Bitonto, figura
di eccezionali capacità: teologo e dottore in diritto
canonico, partecipante al concilio di Trento, maggiordomo della regina di Polonia, soldato
dell'esercito di Filippo II, geometra e idraulico perfino, fu incaricato dal re
di rendere navigabile il Guadalquivir da Cordova a Siviglia nonché
di costruire un grande canale di bonifica ad Aranjuez[57].
Teresa lo conobbe dopo la conversione nelle vesti di eremita, desideroso anche
lui di unirsi alla nascente riforma insieme al compagno Giovanni Narducci,
abruzzese, un tempo suo servitore (resterà celebre per averci lasciato l'unica
effigie di Teresa ancora vivente nel 1576, quando ella aveva all'incirca una sessantina d'anni).
Entrambi avrebbero fondato, insieme alla riformatrice, un monastero di
carmelitani scalzi nella stessa Pastrana.
Giunta
finalmente lì e cominciati i lavori di restauro della casa per le monache,
Teresa si rese ben presto conto delle difficoltà di relazione con la
benefattrice, la principessa d'Eboli, tanto da sembrare già decisa a tornare
indietro e abbandonare l'opera iniziata[58].
Fu il principe Ruy Gomez stesso a sedare la contesa. Il 13 luglio
dello stesso anno anche gli scalzi fondarono il loro monastero sulla collina di
San Pedro nella cosiddetta “Palomar”, colombaia, dove Mariano de Azaro e
Giovanni Narducci, ai quali si unì Baltasar di Gesù, presero dimora.
Teresa e
Giovanni della Croce, figli dell'intenso periodo di contese intellettuali e
teologiche della Controriforma, stabilirono che anche gli scalzi
avrebbero dovuto approfondire i propri studi e non soltanto la vita di
contemplazione, della quale peraltro Giovanni della Croce s'era fatto custode e
direttore. Per questo fu installato un collegio di riformati nella città
universitaria di Alcalá de Henares, perché i giovani scalzi
prendessero parte alle lezioni[59].
Il gesuita
Martino Gutierrez spinse la riformatrice a un'ennesima fondazione nella celebre
Salamanca
dove ella giunse il 31 ottobre[60]
sofferente a causa dell'acutissimo freddo trovato nel tragitto. La casa ad esse
destinata era però già occupata da un gruppo di studenti che dopo diverse lotte
lasciarono l'edificio per sistemarsi in altro alloggio. La festa d'ognissanti
dello stesso anno il monastero vide la luce.
Furono i
coniugi Francesco Velasquez e Teresa de Layz a chiedere questa nuova fondazione
di scalze alla riformatrice mentre ancora ella si trovava a Salamanca. I lavori
si conclusero il 25 gennaio 1571 con una messa solenne.
In seguito
alle contese susseguenti all'elezione della nuova priora di Medina, il padre
provinciale dei carmelitani, Angelo de Salazar, diede ordine a Teresa di
interrompere i suoi viaggi e tornare al monastero di San Giuseppe d'Avila. Ma
questo periodo di pace fu alquanto breve: la priora scelta per il monastero di
Medina, Teresa de Quesada, carmelitana mitigata, non era riuscita a sostenere
l'arduo compito di governo. De Salazar scelse per questo incarico, lasciato
sospeso, la stessa Teresa che dovette così nuovamente mettersi in viaggio per
raggiungere Medina.
Ma ecco
all'improvviso profilarsi un nuovo, e ben più gravoso, compito: il padre
provinciale e il visitatore apostolico la nominavano priora dell'Incarnazione,
il monastero nel quale ella era entrata ancora fanciulla e che aveva
abbandonato per dar vita all'opera della Riforma. Le sue vecchie consorelle non
avevano accettato la sua decisione e ben centotrenta monache decisero di
opporsi perché la nuova priora non prendesse possesso della carica. Il 6 ottobre
il corteo che avrebbe accompagnato Teresa all'Incarnazione e di cui faceva
parte lo stesso De Salazar venne letteralmente assalito all'ingresso dalle
religiose del monastero[61].
Fu necessario introdursi per una porta laterale e solo l'intervento delle
monache favorevoli alla nuova priora riuscì ad acquietare gli animi delle
ribelli.
Al suo
ingresso Teresa compì un gesto simbolico (porre sul seggio destinato a lei un
quadro della Vergine Maria) ed espose il suo programma con parole
accalorate che convinsero le oppositrici della sua buona volontà[62].
Ella stessa, come testimoniarono le sue consorelle, preferì insegnare con
l'esempio anziché con gli ordini, cercando quanto possibile di far conservare
al monastero il maggior raccoglimento, con la proibizione ad esempio nella
quaresima del 1572 di visite alle religiose. Si adoperò particolarmente per le
ammalate, pur essendo personalmente molto sofferente[63],
e per la cura della vita spirituale affidata al nuovo confessore, da lei stessa
scelto, Giovanni della Croce, giunto lì nel settembre del 1572, in compagnia di
Germano di San Mattia. Prima che il triennio di priorato scadesse Teresa
dovette però lasciare l'incarico per riprendere i suoi viaggi.
La principessa d'Eboli, Anna de
Mendoza
Nel 1573 Teresa si diresse
nuovamente verso Salamanca, a motivo di un trasferimento di alcune monache, già
lì precedentemente introdotte, dal primo monastero a un'altra abitazione.
Giunte a Salamanca il trasferimento delle religiose ebbe luogo il 29
settembre 1573.
Dopo una
breve sosta ad Avila, fra il monastero dell’Incarnazione e quello di San
Giuseppe, Teresa decisse di andare verso Segovia per
fondarvi una nuova casa su richiesta di donna Anna Jimenez, fondazione avvenuta
solo dopo una lunga contesa col vicario generale della diocesi, risentito per
non essere stato consultato riguardo l’avvenimento[64]:
questi aveva posto perfino una guardia a sorvegliare l’ingresso perché nessun
sacerdote entrasse per celebrarvi messa e fu solo dopo un atto notarile, che
certificava l’autorizzazione del vescovo, monsignor de Covarrubias, a fondare
una nuova casa, che il vicario si acquietò.
Ma la
situazione per la Riforma s’aggravò con la morte, il 29 luglio
1573, di Ruy Gomez, benefattore con la moglie Anna de Mendoza, dei monasteri di
Pastrana. La vedova aveva difatti deciso, dopo i funerali del marito, di farsi
carmelitana e chiudersi nella clausura dei monasteri del suo feudo. La madre
superiora Isabella di San Domenico vide pian piano stravolta la tranquilla vita
delle consorelle: la nuova entrata voleva a suo fianco la madre, non esitò a
far aprire la clausura per ricevere le condoglianze del governatore, del
vescovo e di altri notabili del paese e si impose perché facessero ingresso fra
le novizie due sue favorite. La sua reclusione durò poco tempo e in breve Anna
de Mendoza tornò al suo palazzo ma, irritata dal comportamento della madre
superiora che, per il rispetto della regola, non le aveva concesso di buon
cuore simili intrusioni, decise di sospendere il censo annuo delle monache,
condannandole ad elemosinare. Teresa si avvide ben presto che Pastrana non era
più luogo per le sue monache e organizzò una fuga clandestina, certa che la
principessa d’Eboli non avrebbe mai permesso una simile opposizione. Era già
stata preparata per loro una nuova casa a Segovia quando Anna de Mendoza venne
a scoprire tutto e, con l’aiuto dell’amministratore cittadino, circondò di
guardie il monastero perché nessuno potesse uscirvi. Dopo ripetuti tentativi
anch’ella dovette però arrendersi e, nella mezzanotte, le monache poterono così
finalmente andare via dal monastero per trasferirsi nella nuova casa di
Segovia.
Nuova breve
sosta ad Avila e nuova partenza, verso Beas
de Segura per una fondazione richiesta dalle due sorelle Caterina Godinez e
Maria de Sandoval, entrambe giovanissime e orfane, decise per la vocazione sin
dalla fanciulezza. Anche qui non mancarono le difficoltà a causa
dell’indisposizione dei Commendatori di Santiago, proprietari di Beas, i quali
s’erano mostrati contrari a fondazione di ordini diversi dal loro. Fu l’intervento
di Filippo II di Spagna in persona, grande
stimatore della Riforma teresiana, a far tacere ogni voce avversa all’opera.
Cominciavano
a sorgere dissapori fra i carmelitani della prima riforma, in seguito definiti
“calzati”, e quelli introdotti da Teresa. La fondazione di Beas fu motivo di
discordia, in quanto Teresa aveva ricevuto permesso di fondare monasteri in
Castiglia, mentre Beas si trovava in Andalusia,
come dovette scoprire qualche giorno dopo. Anche il ramo maschile venne
accusato di aver inglobato una casa nella provincia calzata di Siviglia con la
fondazione, presso il porto della stessa, d’un nuovo monastero, la Madona de
los Remedios, a opera del padre Gerolamo Gracián, il quale si avvalse della
propria autorità di visitatore apostolico. Nel frattempo, tuttavia, il papa Gregorio
XIII, su influenza del padre Rubeo (generale dell’ordine carmelitano),
aveva qualche mese prima dell’ultima fondazione, il 13 agosto 1573, revocato il
potere concesso ai suddetti commissari apostolici.
Intervennero
sulla questione anche il re in persona e il nunzio presso la corte di Madrid,
monsignor Ormaneto, riunendo un consiglio particolare il quale stabilì di
favorire la riforma di Teresa. Per questo Gracián ottenne nuovamente l’autorità
di visitatore apostolico sia per gli scalzi che per i calzati, nomina per la
quale era necessario un suo viaggio a Madrid, durante il quale conobbe
personalmente Teresa invitandola a fondare una nuova casa di scalze in Siviglia
sebbene elle sembrasse inizialmente intenzionata a fondare un monastero a
Madrid[65].
Papa Gregorio XIII
Il viaggio
fu abbastanza periglioso per madre Teresa, la quale in quei giorni era oppressa
da dolorosi attacchi di febbre. Il caldo contribuì a peggiorare la sua
situazione fisica, e al Guadalquivir rischiarono di perdere i carri durante la traversata
del fiume[66].
Giunti in città, l'opposizione da parte dell’arcivescovo, don Cristoforo de
Royas Sandoval, dovette ritardare la fondazione, provocando ulteriori
difficoltà alle monache[67].
La situazione cominciò a migliorare con l’interessamento di donna Leonora de
Valera e dello stesso arcivescovo che, dopo un colloquio personale con Teresa e
le sue compagne, divenne favorevole al nuovo ordine.
Ma una nuova
tempesta sopravvenne dopo l’uscita dal monastero di una novizia che, non avendo
accettato l’austera vita delle monache, decise per vendetta di denunciarle al
tribunale dell’Inquisizione. Si susseguirono gli
interrogatori ma infine sia le religiose che la fondatrice, assolta dopo anni
da alcune accuse sorte nel suo soggiorno a Pastrana dalla principessa d’Eboli,
furono giudicate innocenti. Ancora mancava la casa. Grazie all'arrivo del
fratello di Teresa, Lorenzo de Cepeda, tornato dalle Americhe, fu possibile
trovare un alloggio per le monache. La fondazione di Siviglia ebbe luogo, così,
il 3 giugno 1576[68].
Terminata
un’altra fondazione, il 18 dicembre 1575, a Caravaca, ecco Teresa fronteggiare il
drammatico susseguirsi di eventi che avrebbe dato vita alla grande contesa fra
scalzi e calzati. Gli ordini possedevano entrambi potenti alleati, per gli
Scalzi il nunzio Ormaneto mentre per i Calzati il padre Rubeo, generale
dell’ordine, nonché due diversi visitatori apostolici, gli uni Gracián gli
altri Tostado. Quest’ultimo particolarmente si adoperò, particolarmente dopo la
morte di Ormaneto, per fermare l’avanzata di quelli che definiva propri nemici
e ribelli[69]:
Teresa si ritrovò ben presto costretta a rimanere reclusa nel monastero di Toledo da dove non
interruppe i propri contatti epistolari per la difesa delle fondazioni,
Giovanni della Croce venne catturato in un agguato dagli stessi calzati
all’Incarnazione di Avila e rinchiuso in una piccola cella a Toledo mentre
Gracián, Antonio di Gesù e Mariano vennero confinati nel convento di Madrid. Il
conflitto sembrava giungesse a una tregua con l’interessamento per la pace del
nuovo nunzio, monsignor Filippo Sega, ma la riunione di un capitolo di scalzi
ad Almodóvar del Campo il 9 ottobre 1578, disapprovato
dalla stessa Teresa, che eresse la riforma a provincia separata facendo di
Antonio di Gesù il suo provinciale, condusse nuovamente alla crisi.
I
provvedimenti furono severi, il nunzio stesso ordinò che i partecipanti fossero
interdetti e gli organizzatori, Gracián, Antonio di Gesù, imprigionati l’uno a
Madrid l’altro a San Bernardino. Venne messo in gioco lo stesso re Filippo II,
da una parte lo raggiunsero lettere di Teresa dall’altra una visita di
monsignor Sega. Fu quest’ultimo stesso a rileggere sotto uno sguardo diverso la
vicenda e decidere di adoperarsi perché finalmente gli scalzi fossero esonerati
dalla giurisdizione dei calzati e divenissero provincia separata. Furono così
inviati a Roma due delegati, Giovanni di Gesù e Diego della Trinità per porre i
termini della questione di cui si occupò particolarmente il cardinale Perretti,
futuro Sisto V.
Il 27 giugno
1580 partiva da Roma, col sigillo di
papa Gregorio XIII, un breve che sanciva la formazione di una nuova provincia
separata, quella degli scalzi, secondo il desiderio di Teresa e dei suoi
compagni.
Nonostante
le sofferenze che svilivano il suo corpo, si ricordi ad esempio la rottura del
braccio destro a seguito d’una caduta nel dicembre del 1577, Teresa decise di
recuperare il tempo che i quattro anni di reclusione le avevano fatto perdere.
Visitò dapprima le comunità precedentemente fondate, in compagnia di quella che
sarebbe divenuta la sua ultima assistente e segretaria, Anna di San Bartolomeo: Medina
del Campo, Valladolid, Alba
de Tormes, Salamanca, Malagón.
A Villanueva tramutò in monastero carmelitano
una piccola comunità di terziarie, come già atteso da quattro anni dalle
stesse, che già seguivano gli insegnamenti della riformatrice sebbene
mancassero della dovuta organizzazione[70].
Dopo una crisi sopravvenuta a un crollo fisico a Valladolid[71],
fonda una nuova casa, la “Casa della Consolazione” a Palencia, il 1 giugno 1580, per rispondere
all’iniziativa del vescovo della diocesi che chiedeva un monastero di scalze.
Un altro vescovo, monsignor Velazquez, vescovo di Osma richiedeva la sua presenza a Soria, la vedova
Beatriz de Beaumont Navarra offriva la casa per la fondazione e la rendita per
il sostentamento delle monache.
L’attendevano
altre due opere, a Granada e a Burgos.
La prima possedeva già un monastero di scalzi, fu Anna di Gesù[72],
priora di Beas, a occuparsi della fondazione e non la stessa Teresa. Prive
d’una casa e di mezzi di sostentamento, fino a patire perfino la fame, e con
l’arcivescovo contro, si sistemarono in un alloggio momentaneo fin quando non giunse
loro il permesso sperato e, con l’ingresso di sei novizie, le loro doti che
permisero l’acquisto d’un rifugio adatto. Gli scalzi avevano ormai oltrepassato
i confini ispanici per fondare un nuovo monastero a Lisbona e
spostarsi da lì verso le terre di missione, quando Teresa si apprestò alla sua
ultima opera: Burgos. La benefattrice, Caterina de Tolosa, avrebbe presto
offerto alla riformatrice non solo i fondi necessari ma sé stessa e i suoi otto
figli, sarebbero tutti entrati nell’ordine carmelitano. La casa nella quale le
monache si installarono, il 19 marzo 1582, era però troppo vicino al fiume e
durante una terribile alluvione Teresa e le sue compagne rischiarono seriamente
di morire annegate[73].
Ripartita da
lì per assistere alla vestizione della nipote Teresita ad Avila, figlia di suo
fratello Lorenzo de Cepeda (morto nel 1581) fu costretta invece, per ordine del
padre Antonio di Gesù, in quel momento vicario provinciale della Castiglia, a
raggiungere Alba de Tormes per un incontro con la duchessa Maria Enriquez
d’Alba. Fu il suo ultimo viaggio. Morì infatti nella notte tra il 4 e il 15
ottobre 1582 (proprio nella notte in cui fu praticato il riallineamento di date
tra il vecchio calendario giuliano e quello Gregoriano, con sottrazione di 10 giorni) al
monastero di Alba de Tormes fra le consorelle, sorretta da Anna di San Bartolomeo (una sua stretta
collaboratrice). Il suo corpo riposa ancora oggi nella chiesa
dell'Annunciazione in Alba de Tormes.
Il nucleo
del pensiero
mistico di Teresa, individuabile in tutti i suoi scritti, è l'amicizia tra
il Signore e la sua creatura. Secondo l'interpretazione più tradizionale, in
non pochi aspetti parziale, l'ascesa dell'anima umana
avverrebbe attraverso quattro stadi, (come scritto nella sua Autobiografia,
cc. X-XXII):
- Meditazione o orazione di
raccoglimento. Si tratta del "ritiro" dell'anima e delle sue
facoltà dall'esterno nell'ascolto della Parola di Dio e, secondo gli usi
del tempo, particolarmente nella considerazione della passione di Cristo.
- L'orazione di quiete. In questo stadio la volontà
umana è rimessa in quella di Dio, mentre le altre facoltà, quali la
memoria, l'immaginazione e la ragione, non sono ancora sicure a causa
della distrazione mondana. Nonostante una piccola distrazione possa essere
provocata dalla ripetizione di preghiere o dalla composizione di scritti,
lo stato prevalente è ancora quello della quiete.
- L'orazione di unione. la presenza dello Spirito
attrae in sé la volontà e l'intelletto, in un dono reciproco tra il
Signore e la creatura, mentre rimangono "libere" solo
l'immaginazione e la memoria. Questo stadio è caratterizzato da una pace beata,
una sorta di consapevole consegna all'amore di Dio.
Quando tutta
la vita è trasformata da questa esperienza si compie l'unione che non richiede
affatto le "estasi" con i suoi segni esterni, ché anzi sono tipiche
di una certa immaturità nel percorso spirituale. Purtroppo, curiosità non
sempre equilibrate sono state molto attratte dalle risonanze psicologiche di
queste prime fasi e spesso, senza vere conoscenze su un'autentica vita
spirituale, hanno elaborato quadri lontani dalla realtà della vita autentica di
Teresa e della mistica cristiana, lontana da fenomeni scenografici molto
graditi nell'età barocca ed in altre epoche.
Sono state
avanzate interpretazioni, da un punto di vista laico e psichiatrico, secondo
cui gli stati di estasi della Santa potrebbero essere intesi come una fantasia
vivida nella mente di una giovane particolarmente sensibile, uno stato d'animo
alterato che fa confondere una fantasia autoerotica o sessuale per un incontro
divino[74][75].
Tale considerazione si basa sull'interpretazione delle parole della stessa
Teresa d'Ávila:
« Gli vedevo nelle mani
un lungo dardo d'oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avere un po' di
fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così
profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva
sembrava portarselo via lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio.
Il dolore della ferita era cosi vivo che mi faceva emettere dei gemiti, ma
era cosi grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non
c'era da desiderarne la fine, né l'anima poteva appagarsi che di Dio. Non è
un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di
parteciparvi un po', anzi molto. È un idillio cosi soave quello che si svolge
tra l'anima e Dio, che io supplico la divina bontà di farlo provare a chi
pensasse che io mento. »
|
(Santa Teresa d'Avila,
Autobiografia, XXIX, 13)
|
Altri autori
interpretano invece il passaggio come la descrizione del fenomeno della transverberazione[76][77].
Dal
Medioevo, in sintonia con la devotio moderna, era convinzione diffusa
che un intenso percorso spirituale, prima o poi, non potesse essere estraneo ad
una qualche manifestazione esteriore, temuta, ma attesa come sigillo di un
intervento divino. Nel contesto cinquecentesco, visioni e rivelazioni erano
parte integrante della vita religiosa. Un contesto in cui il visionario è
presenza ordinaria nella società, le sue funzioni, in un certo qual modo,
vengono a sovrapporsi, anche se non a confondersi, con quella mediazione
istituzionale offerta dal clero. (A. Gentili – M. Regazzoni, La spiritualità
della riforma cattolica, 1993).
Occorre
ricordare poi, che le donne, nel dopo concilio di Trento, non potevano certo
parlare in pubblico di temi teologici, tanto meno commentare la Scrittura. Non
potevano studiare teologia, riservata ai presbiteri. Conclusione: forse solo
attraverso un segno dall'alto, come le "estasi" (che potevano avere
una qualche componente psicologica), potevano salvaguardare le donne da un
facile incontro con i tribunali dell'Inquisizione, ma non esoneravano da
numerosi interrogatori e verifiche delle stesse. Figurarsi se si trattava di una
donna fondatrice anche di ordini
religiosi.
Si fa fatica
ad ipotizzare un'espressività al femminile, in contesti cinquecenteschi, del
tutto aliena da una certa esuberanza emotiva. Solo rari autori, come Giovanni della Croce, avrebbero chiaramente
scritto e predicato che le estasi non sono affatto essenziali per una seria avventura
spirituale.
D'altra
parte non si può dimenticare che una ricca efflorescenza anche esteriore è
segno, per molti aspetti iniziale, «...del contraccolpo emotivo (transitorio e
accidentale, ma quasi inevitabile) dell'esperienza contemplativa sulla
dimensione psicologica e psicosomatica dell'esistenza.» (B. Callieri, Esperienza
mistica e psichiatria, 1984).
Infine, non
bisogna dimenticare che proprio Teresa d'Avila dichiarò che nella maturità spirituale
le "estasi" scompaiono (Teresa di Gesù, Il castello interiore,
1981, settime mansioni, cap. 3), in quanto un'autentica esperienza spirituale
consente di pervenire ad un miglior equilibrio psicologico, capace di
integrare, gradualmente, affettività e ragione, corpo e psiche.
Statua lignea di Santa Teresa, opera
di Gregorio Fernández, 1625
Anche il
corpo di Santa Teresa, così come per quello di altri santi, fu oggetto di
attenzioni, vi fu un vero dissidio per accaparrarsi i suoi resti mortali. Nove
mesi dopo la scomparsa, la sua bara fu riaperta e la salma ritrovata
incorrotta. Le fu quindi tagliata una mano perché fosse venerata anche dalle
consorelle del primo monastero da lei fondato, San Giuseppe ad Avila. Il padre
Gracian riuscì nel frattempo a tenere per sé il mignolo che conservò
gelosamente fino al giorno in cui non cadde prigioniero dei turchi. Al
capitolo degli scalzi fu discusso il trasferimento delle spoglie ad Avila,
trasferimento programmato per il novembre del 1585. Il duca di Alba
de Tormes però, venutone a conoscenza, sporse denuncia a Roma costringendo i
religiosi a ricondurre indietro il corpo della santa.
Vi fu in
seguito la spartizione delle reliquie, ancora oggi conservate: il piede destro
e una parte della mascella a Roma, la mano sinistra a Lisbona, quella destra a Ronda
(Spagna), fu proprio questa la reliquia che Francisco
Franco, dittatore spagnolo, strappò alle suore carmelitane conservandola
fino al giorno della sua morte. Il corpo, da cui è stato peraltro estratto il
cuore (ben visibile in un reliquiario al museo della chiesa di Alba de Tormes)
è ancora oggi conservato sull'altare maggiore della stessa chiesa.
Definita
dalla Chiesa "vergine serafica", "santa dall'eminente
dottrina"[78]
beatificata il 24 aprile 1614 da papa Paolo V, fu canonizzata quarant'anni dopo la
morte, il 12
marzo 1622, da papa
Gregorio XV, insieme ad altri grandi figure del periodo della Controriforma
quali Ignazio di Loyola, Francesco
Saverio, Filippo Neri. Le Corti Generali (il Parlamento
spagnolo) l'acclamarono patrona nel 1617. Le sue opere mistiche influenzarono molti scrittori
successivi, tra cui Francesco di Sales. Teresa d'Avila fu proclamata
solennemente dottore della Chiesa da papa Paolo VI nel
(1970) insieme a Caterina
da Siena. Fu la prima donna a ricevere tale titolo, fino allora concesso
soltanto a uomini. La seguiranno Teresa
di Lisieux (1997),
carmelitana scalza, e Ildegarda di Bingen (2012).
« Questo suo sentire
con la Chiesa, provato nel dolore alla vista della dispersione delle forze,
la condusse a reagire con tutto il suo forte spirito castigliano nell’ansia
di edificare il regno di Dio; decise di penetrare nel mondo che la circondava
con una visione riformatrice per imprimergli un senso, un’armonia, un’anima
cristiana. A distanza di cinque secoli, Santa Teresa di Avila continua a
lasciare le orme della sua missione spirituale, della nobiltà del suo cuore
assetato di cattolicità, del suo amore spoglio di ogni affetto terreno per
potersi dare totalmente alla Chiesa. »
|
(Dall'omelia di papa
Paolo VI il giorno della proclamazione di S. Teresa d'Avila dottore della
Chiesa[79])
|
Il cuore
della santa è conservato in una teca ad Alba
de Tormes, in Spagna, dove è possibile osservare delle ferite. Dopo la sua
morte, sottoposta ad autopsia, fonti del tempo sostengono avvenne un evento miracoloso:
si dice che, estrattole il cuore, furono osservate proprio le cinque ferite che
ella aveva descritto, attribuite secondo la chiesa alla transverberazione
di cui una di dimensioni superiori ai 5 centimetri[80].
Gli scritti
di Teresa, dal chiaro indirizzo didattico, sono tra i più significativi della
cultura della Chiesa cattolica:
- La sua Autobiografia,
scritta dopo il 1567 sotto la direzione del suo confessore, Pedro Ibáñez;
- Il Cammino della Perfezione, (titolo originale: Camino
de perfecciòn) scritto anch'esso dopo il 1567 sotto la direzione del
suo confessore
- Edizioni:
- Cammino di perfezione, introduzione, traduzione e
note di Letizia Falzone, Alba (Cuneo), Edizioni Paoline, 1976;
- Il castello interiore, (titolo originale: Castillo
interior, Las Moradas) scritto nel 1577, in cui paragona l'anima
contemplante ad un castello composto da 7 camere interne successive;
- Edizioni:
- Castello interiore, introduzione, traduzione e
note di Letizia Falzone, Alba (Cuneo), Edizioni Paoline, 1976;
- Relazioni, un'estensione della sua
autobiografia sotto forma di racconto epistolare delle sue esperienze
interiori ed esterne;
- Due opere minori sono Concetti
dell'Amore ed Esclamazioni, oltre alle Carte, una
raccolta di 342 lettere complete e 87 frammenti di altre. La prosa di
Teresa è caratterizzata da spontaneità, eleganza stilistica e forza
espressiva, che la fanno figurare tra i più importanti prosatori della
letteratura spagnola;
- ^
Si ricordi il Nada te turbe musicato fino ai nostri giorni
- ^
P. Silverio, Vida I, cap.3
- ^
Ribera, Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I
- ^
Teresa di Gesù, Vita 1,1,
- ^
Ibidem 1,2
- ^
Ibidem, 2,1
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.38-39
- ^
Teresa di Gesù, Vita 1,8
- ^
P. Silverio, Vida, I
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.43
- ^
Teresa di Gesù, Vita 3,1
- ^
Polit, La famiglia di Santa Teresa in America, Quito
- ^
Ribera, Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I, IV, II; P.
Silverio, Vida, I,I, VII, VIII; Bollandisti, V, 79, p.131
- ^
Teresa di Gesù, Vita 3,7
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.63
- ^
P. Silverio, Vida, VIII
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.79
- ^
Teresa di Gesù, Vita 4,5
- ^
A. Peers, Studi sulla mistica spagnola, vol.I, cap. III, I
- ^
Teresa di Gesù, Vita 5
- ^
Teresa di Gesù, Vita 6,1
- ^
I fenomeni isterici e le rivelazioni di Santa Teresa, Louvain, 1883
- ^
Studi patologici su Santa Teresa, Louvain, 1886
- ^ G. C.
Graham, Saint Teresa, cap.II
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.98
- ^
Testimonianza del padre Gracián, suo contemporaneo, in Giorgio Papasogli,
Fuoco in Castiglia, pag.108
- ^
Teresa di Gesù, Vita 7,17
- ^
Teresa di Gesù, Vita 7,14
- ^
Teresa di Gesù, Vita 9,1
- ^
Teresa di Gesù, Vita 9,8
- ^
Teresa di Gesù, Vita 23,12
- ^
P. Silverio, Vida, vol.I, cap.XX, pag.397
- ^
Teresa di Gesù, Vita 25,14
- ^
P. Silverio, Vida, vol.I, cap.XXIV
- ^
Teresa di Gesù, Vita 30,4-5
- ^
Ribera, Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I, XI
- ^
Teresa di Gesù, Vita 32,14
- ^
Ibidem
- ^
P. Silverio, Procesos de Santa Teresa de Jesus, tomo I, pp. 117 e 127
- ^
Ribera, Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I, XIII
- ^
Teresa di Gesù, Vita 25,2
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.254
- ^
Teresa di Gesù, Vita 36,12
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.275
- ^
P. Silverio, Procesos de Santa Teresa de Jesus, III, V
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.300
- ^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.304
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